Buone notizie per le donne che si trovano ad affrontare un tumore dell’endometrio. L’AIFA ha recentemente approvato l’estensione dell’indicazione in prima linea dell’immunoterapia a base di dostarlimab in combinazione con la chemioterapia per le pazienti “con carcinoma dell’endometrio primario avanzato o ricorrente con deficit del sistema di mismatch repair (dMMR) e elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H), candidate alla terapia sistemica”.
Questa tipologia di tumore rappresenta il 20-30% dei tumori dell’endometrio primari avanzati o ricorrenti. Che complessivamente è la quarta tipologia di tumore per incidenza nel genere femminile. Con circa 9 mila nuovi casi l’anno.
Il tumore dell’endometrio interessa il corpo dell’utero, con un trend in aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione. Si tratta infatti di una neoplasia del post menopausa, con una diagnosi intorno ai 60 anni.
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LA NOTIZIA IN UN MINUTO
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Il via libera dell’AIFA arriva a poco più di un anno di distanza da quella europea. E si basa sui risultati dello studio RUBY, che ha valutato l’efficacia dell’aggiunta di dostarlimab allo chemioterapia standard, carboplatino e paclitaxel, rispetto alla sola chemioterapia, nelle pazienti con le caratteristiche ricordate sopra.
“Lo studio RUBY ha evidenziato una riduzione del 72% del rischio di progressione della malattia o di morte nelle pazienti dMMR/MSI-H trattate con la combinazione – – spiega la prof. Domenica Lorusso, direttore del programma di ginecologia oncologica dell’Humanitas San Pio X di Milano – Inoltre, l’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia ha determinato una riduzione del 68% del solo rischio di morte rispetto alla chemioterapia”.
Nel caso specifico, a 2 anni, il 61,4% delle pazienti trattate con dostarlimab e chemioterapia era libero da progressione o morte rispetto al 15,7% delle pazienti trattate con la sola chemioterapia standard. A 3 anni, il 78% delle pazienti trattate con dostarlimab e chemioterapia era vivo rispetto al 46% delle pazienti trattate con la chemioterapia.
“Il RUBY – prosegue Lorusso – ha cambiato la pratica clinica per tutte le pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente. Il 72% di riduzione della progressione della malattia o di morte in donne con carcinoma dell’endometrio avanzato o recidivante, è un traguardo enorme. Significa soprattutto che le curve del RUBY ci mostrano che stiamo guarendo queste donne: un verbo, guarire, che non avrei mai immaginato di poter usare per tumori recidivanti o che esordiscono al quarto stadio. A questo punto, dunque, non è utopia pensare che alcuni gruppi di pazienti potrebbero addirittura beneficiare della sola immunoterapia senza chemio”.
“Oggi nel campo dei tumori ginecologici – afferma Nicoletta Cerana, presidente di ACTO Italia-Alleanza contro il tumore ovarico – stiamo assistendo a una rivoluzione. Infatti, dopo i successi della medicina personalizzata nella cura del tumore ovarico, accogliamo con entusiasmo questa opportunità terapeutica che apre nuove speranze di vita non solo ad ogni donna che sta lottando contro un tumore avanzato dell’endometrio, ma anche ai suoi familiari. Perché non bisogna mai dimenticare la capacità che un tumore femminile ha di ripercuotersi sul futuro dell’intera famiglia. Non a caso, dunque, si dice che se sta bene la donna, sta bene la società”.
Per il tumore dell’endometrio purtroppo non esiste uno screening come il pap test per il collo dell’utero. La diagnosi è abbastanza semplice, perché è prevalentemente legata a un sintomo precoce: il sanguinamento anomalo in pre e postmenopausa. Che va sempre approfondito con esami specifici.
Tra i fattori di rischio, oltre all’età, è accertato un aumento in caso di obesità e diabete. Un ruolo lo gioca anche l’eccessiva esposizione agli estrogeni. Come avviene a fronte di un inizio precoce del ciclo mestruale (menarca precoce), di menopausa tardiva o assenza di gravidanze.
Altri fattori sono la familiarità e l’ereditarietà. In quest’ultimo caso la Sindrome di Lynch è una condizione ereditaria che aumenta il rischio di sviluppare sia un tumore dell’endometrio, sia del colon in età giovanile. Per questo è importante che in caso di diagnosi di Lynch i familiari della paziente vengano sottoposti allo specifico test genetico.
Conclude dunque Elisabetta Campagnoli, direttore medico oncoematologia di GSK: “Da anni siamo impegnati nella ricerca e nello sviluppo di terapie innovative che possano fare la differenza per le pazienti. Offrendo non solo tempo, ma anche una migliore qualità di vita. L’approvazione della combinazione di dostarlimab e chemioterapia rappresenta un passo significativo in questa direzione. Un risultato ottenuto grazie ad uno studio internazionale che ha visto coinvolti in Italia 8 centri”.
“Siamo determinati a continuare su questa strada – prosegue Campagnoli – investendo in ricerca e collaborando con la comunità scientifica. Per garantire che le innovazioni arrivino rapidamente alle pazienti che ne hanno bisogno. Infine, lcrediamo fermamente che il dialogo continuo e il sostegno reciproco con le organizzazioni di pazienti siano fondamentali per comprendere meglio le esigenze delle donne affette da una patologia oncologica. E per sviluppare soluzioni terapeutiche che rispondano ai loro bisogni reali”.