Il diabete, in particolare il tipo 2, in Italia negli ultimi trent’anni è più che raddoppiato e oggi si assesta attorno al 7% della popolazione generale. Con picchi sopra l’8% in Calabria e Campania. I dati rilevati dalle principali Società scientifiche e monitorati dall’Istituto Superiore di Sanità e programma ARNO, registrano 4 milioni almeno di italiani con diabete diagnosticato, oltre il 90% con diabete di tipo 2. Mentre almeno un altro milione vive con la patologia, ma non ne è conoscenza per mancata diagnosi. E nel 2040 le stime prevedono un aumento al 9-10%, e i numeri saliranno a più di 7 milioni fra 15 anni.
Dati allarmanti dunque, se si aggiunge il fatto che la gestione della malattia non è facile. Quasi 1 paziente su 2 non raggiunge il target prefissato di emoglobina glicata (parametro di riferimento che indica se il diabete nel tempo è ben compensato). Con impatto sulla salute pubblica e sulla qualità e l’aspettativa di vita a causa delle complicanze acute e croniche che si sviluppano negli anni. Infatti, se non prevenute o trattate in modo adeguato e tempestivo, determinano disabilità gravi e mortalità prematura.
Una risposta concreta, però, arriva dall’innovazione. È stata approvata da AIFA la rimborsabilità di tirzepatide di Lilly . Il farmaco, inserito in Nota 100, può essere prescritto dagli specialisti e dai medici di medicina generale.
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LA NOTIZIA IN UN MINUTO
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«I dati degli Annali di AMD (Associazione Medici Diabetologi) rilevano che solo il 56% delle persone con diabete di tipo 2 raggiunge un valore di emoglobina glicata sotto il 7%. Che è il primo grande obiettivo target nel controllo glicemico – spiega Riccardo Candido, Presidente AMD – Associazione Medici Diabetologi – I motivi sono diversi: diagnosi tardiva e inizio del trattamento non tempestivo; inerzia terapeutica da parte dei professionisti che non intervengono in maniera precoce e incisiva nelle modifiche delle terapie qualora il diabete non sia sufficientemente controllato. Inoltre, difficoltà dei pazienti a mantenere adeguati stili di vita in termini alimentazione e attività fisica; utilizzo di terapie fino a qualche tempo fa non del tutto efficaci e gravate dal rischio di ipoglicemia; ridotta aderenza alle terapie; difficoltà a livello regionale di mettere a disposizione rapidamente le innovazioni terapeutiche che oggi sono più efficaci, come tirzepatide.
Da ultimo, la disequità di accesso alle nuove opportunità terapeutiche e tecnologiche».
E’ ben noto, infatti, che la gestione del diabete di tipo 2 è difficile e costosa. Come sottolinea Gianluca Aimaretti, Presidente SIE – Società Italiana di Endocrinologia, Professore Ordinario di Endocrinologia Università del Piemonte Orientale e Direttore Dipartimento di Medicina Traslazione «Le principali conseguenze del diabete di tipo 2 sono quelle croniche, dovute al prolungato mantenimento negli anni di elevati valori della glicemia e della tossicità legata agli zuccheri nel sangue.
Le principali riguardano il rene, l’occhio, il sistema nervoso centrale e periferico, micro- e macro-circolo, con danni importanti. Che nel tempo aumentano il rischio di infarto, ictus, e problemi anche a livello epatico, della sfera genitale e del cavo orale.
È necessario diagnosticare il più precocemente possibile la malattia diabetica per intervenire con adeguati trattamenti. Solo così è possibile rallentare o in qualche caso prevenire le complicanze che talvolta insorgono quando ancora il paziente non sa di essere diabetico e non ha disturbi. Inoltre, gli studi dimostrano che le complicanze possono portare negli anni a gravi disabilità e ridurre l’aspettativa di vita in media di 6-7 anni».
Nonostante un approccio terapeutico integrato con dieta, attività fisica e farmaci, quasi 1 paziente su 2 non raggiunge tutti e tre gli obiettivi raccomandati dalle più recenti linee guida internazionali. Ovvero, controllo della glicemia, della pressione arteriosa e del colesterolo.
Inoltre, l’85% dei diabetici di tipo 2 è sovrappeso od obeso, e non riesce a ridurre il peso corporeo, nonostante gli sforzi. Proprio a questi bisogni clinici non soddisfatti fino ad oggi, risponde l’innovazione di Lilly con tirzepatide. Controlla la glicemia con una riduzione dell’emoglobina glicata e del peso corporeo. Tirzepatide ha dimostrato la sua efficacia, rispetto ai farmaci in uso, sul controllo della pressione arteriosa e del colesterolo agendo anche sulla prevenzione del danno cardiovascolare e renale. Il farmaco non è gravato dal rischio ipoglicemia e il profilo di sicurezza e tollerabilità sono risultati favorevoli.
Tirzepatide, indicato per i pazienti adulti con diabete di tipo 2 non ben controllato dalla dieta e dai farmaci già in uso, sia in monoterapia con metformina che in aggiunta a altri farmaci, è contenuto in una penna preriempita facile da usare. Somministrato una volta a settimana, migliora l’aderenza terapeutica. Il miglioramento del controllo glicemico e metabolico si associa quindi ad una marcata riduzione delle complicanze e ad un risparmio dei costi.
Ma i pazienti devono essere motivati e hanno bisogno di risposte alle loro esigenze. Sotto questo aspetto il ruolo delle Associazioni diventa sempre più fondamentale.
«Nel diabete di tipo 2 esiste ancora poca consapevolezza della malattia tra gli stessi pazienti, le diagnosi sono tardive e quando si scopre di essere diabetici si tende a minimizzare il problema – sottolinea Stefano Nervo, Presidente Diabete Italia Rete Associativa ODV – Sarebbe opportuno aumentare la consapevolezza affinché il paziente prenda in carico sé stesso, pretenda di ricevere la miglior cura possibile e sia responsabile in prima persona della sua condizione e di ciò che comporta nella gestione quotidiana convivere con il diabete. Avere a disposizione nuove opportunità terapeutiche significa essere curati in maniera più efficace, prevenire le complicanze e ridurre il carico terapeutico per il paziente e il caregiver. Anche i device e la modalità di somministrazione delle terapie sono importanti e possono fare la differenza nel buon successo di una terapia. La somministrazione settimanale, ad esempio, ha un impatto molto più positivo rispetto a quella giornaliera».
Il diabete di tipo 2 richiede una gestione che vada oltre la semplice gestione farmacologica . Con un approccio multidisciplinare e multiprofessionale inserito all’interno di un modello di cura basato su interazioni e sinergia tra team specialistico e medici di famiglia.
«Il diabetologo e l’endocrinologo sono le due figure di riferimento cui fanno da corollario indispensabile il dietista, il nefrologo, il cardiologo, l’oculista, il neurologo, il chirurgo vascolare, l’ortopedico, lo psicologo fino all’infermiere dedicato – precisa Andrea Frasoldati, Presidente AME – Associazione Medici Endocrinologi e Direttore Struttura Complessa di Endocrinologia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova IRCCS, ASL di Reggio Emilia –. La presenza di questi specialisti è decisiva nell’assicurare al paziente e alla malattia un management adeguato con le migliori terapie. Oltre a una diagnosi precoce e un trattamento ottimale in grado di prevenire o rallentare la progressione delle complicanze. Ma una gestione integrata prevede un sistema organizzato per rispondere ai bisogni dei pazienti. E la mancanza di uno scambio tra le diverse figure specialistiche può rendere difficile al paziente l’accesso e l’aderenza alle cure».
Il ruolo del medico di medicina generale, in questo complesso scenario, diventa cruciale. «Nell’interesse del paziente, l’approccio alla malattia diabetica deve essere il più olistico possibile. E solo il medico di medicina generale può realizzare a pieno questo approccio – spiega Walter Marrocco, Responsabile Scientifico FIMMG – Federazione Italiana Medici di Medicina Generale – Inoltre, il diabete, come patologia cronica, richiede una sorveglianza nel tempo. E questo solo il medico di medicina generale può garantirlo. Il diabete rappresenta una crescente emergenza sanitaria in Italia, con una prevalenza in aumento e un impatto sulla salute pubblica. È fondamentale promuovere strategie efficaci di prevenzione, diagnosi precoce e gestione della malattia per ridurre le complicanze e migliorare la qualità della vita ».
È diffusa nell’opinione pubblica italiana una scarsa consapevolezza e conoscenza dei numerosi fattori che rappresentano un rischio, talvolta alto, per lo sviluppo della malattia diabetica. Ad esempio, il 60% degli italiani ignora la stretta relazione tra il diabete di tipo 2 e l’obesità.
«Non bisogna più sottovalutare la malattia diabetica – avverte Manuela Bertaggia, Vice Presidente FAND – Associazione Italiana Diabetici ODV – Una comunicazione poco incisiva rispetto ad una malattia che richiede cure e assistenza per tutta la vita, non riesce a coinvolgere i pazienti e a creare consapevolezza. Il fatto che il diabetologo tenda a non parlare di fattori di rischio non ha aiutato a responsabilizzare le persone con diabete di tipo 2. Che, invece, vanno educate sui pericoli derivati da cattive abitudini e comportamenti errati. Necessaria la prevenzione primaria. Con campagne di sensibilizzazione che raggiungano la popolazione generale, i pazienti e le persone che convivono con la malattia ma non ne sono a conoscenza. Bisogna andare nelle scuole. Attraverso i bambini e gli adolescenti si agganciano genitori e nonni».