In Italia ogni anno sono oltre 5.200 le donne che ricevono una diagnosi di tumore ovarico, una delle neoplasie più difficili da diagnosticare in fase precoce a causa di sintomi aspecifici o non riconosciuti. In circa l’80% dei casi, infatti, la malattia viene diagnosticata in fase già avanzata. Oggi, però, lo scenario è in evoluzione e una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le pazienti di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo la chemioterapia e che si sono dimostrate efficaci su questa neoplasia. Proprio per questo prosegue il suo importantissimo viaggio la campagna “Tumore Ovarico, manteniamoci informate!” che, dopo la prima tappa in Puglia, si sposta in Lombardia e arriva a Monza.
L’iniziativa è nata per aumentare la consapevolezza sul carcinoma ovarico e valorizzare le nuove opportunità delle terapie di mantenimento per tutte le donne, con o senza mutazione genetica – La campagna, promossa da Fondazione AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) insieme ad ACTO Onlus, LOTO Onlus, Mai più sole e aBRCAdabra con il sostegno incondizionato di GSK, ha come obiettivo quello di invitare le donne e le pazienti a “mantenersi informate” proprio perché oggi sul fronte del tumore ovarico sono molte le cose da sapere e le novità da conoscere: in primo luogo i progressi della ricerca e delle terapie, che stanno migliorando sopravvivenza e qualità di vita, ma anche i test molecolari, che permettono alle pazienti di accedere al trattamento più appropriato per il proprio tipo di tumore.
Attività online, social e 6 video racconti – Insieme agli eventi territoriali, che vedono la partecipazione degli specialisti e delle pazienti, la campagna informativa fa leva su una serie di attività online e social e sui 6 video-racconti disponibili sul sito web www.manteniamociinformate.it e sui profili Facebook e Instagram della campagna.
I video-racconti portano all’attenzione dello spettatore frammenti straordinari di vita legati all’esperienza delle protagoniste, Sara e Monica, interpretate da Laura Mazzi e Francesca Della Ragione: due donne diverse per carattere, stile di vita e interessi ma che affrontano la stessa malattia, il tumore ovarico. Monica presenta una mutazione genetica di tipo BRCA1, Sara ha una forma non mutata di malattia. I video-racconti sono diretti da Paola Pessot e narrati dal volto e dalla voce della testimonial d’eccezione Claudia Gerini.
“Lo scenario è in evoluzione”, dichiara Stefania Gori, Presidente Fondazione AIOM e Direttore Dipartimento Oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabri, Negrar. “Uno dei progressi più importanti è la possibilità di utilizzare, in fase di mantenimento dopo la chemioterapia, terapie orali con i PARP inibitori, che hanno aumentato in modo significativo la possibilità di prolungare il tempo libero da progressione di malattia nelle donne con mutazione BRCA. Finalmente adesso i PARP inibitori possono essere utilizzati anche nelle pazienti “senza” mutazione BRCA, che rappresentano ben il 75% del totale e che fino a poco tempo fa avevano poche alternative terapeutiche. Tali farmaci possono essere utilizzati dopo una prima linea di chemioterapia oppure al momento della recidiva di tumore, dopo altre linee di chemioterapia. Purtroppo, ancora oggi, 3 pazienti su 4 senza mutazione BRCA (Wild Type) in recidiva non sono in terapia di mantenimento con un PARP inibitore o non lo ricevono in modo tempestivo ma sicuramente questo dato tenderà a migliorare nel tempo”.
La diagnosi precoce per il carcinoma ovarico non esiste ancora e le uniche due armi per contrastare la malattia da subito sono la conoscenza e le cure appropriate – “Essere informati è fondamentale per un tumore come il carcinoma ovarico, una delle neoplasie più difficili da diagnosticare in fase precoce in un Paese dove la medicina del territorio è quasi inesistente e per la mancanza di screening di popolazione”, spiega Fabio Landoni, Professore Associato di Ginecologia e Ostetricia Università degli Studi Milano Bicocca e Direttore Dipartimento Materno Infantile San Gerardo di Monza. “La ricerca in tal senso sta facendo molti passi avanti, sappiamo che il 30-40% dei tumori ovarici è legato a una familiarità e ci sono studi sperimentali che dimostrano come sia possibile da un banale Pap test identificare la proteina P53 che è un predittore di tumore ovarico presente già molti anni prima della diagnosi. Questa è una speranza. Nel frattempo per battere il tumore ovarico sul tempo la donna deve affidarsi a un bravo ginecologo e a Centri di riferimento per la diagnosi e la cura di questa neoplasia, non sottovalutando segni aspecifici come la distensione addominale, i problemi gastroenterici, il senso di peso pelvico, tutti campanelli d’allarme che pur essendo comuni ad altre patologie possono servire, con l’ausilio di una visita accurata e di un’ecografia intravaginale, a dissipare eventuali dubbi e a porre una diagnosi il più tempestiva possibile”.
Per poter creare cultura nella popolazione sul tumore ovarico e le nuove terapie è di fondamentale importanza l’alleanza tra comunità scientifica, Associazioni di pazienti e il mondo farmaceutico – “Noi crediamo molto nell’educazione, nella prevenzione, che significa fare cultura, creare consapevolezza nelle persone per far sì che momenti a volte ineluttabili della propria esistenza, come può essere una malattia oncologica, vengano visti, scoperti, diagnosticati per tempo”, conclude Sabrina de Camillis, Head of Government Affairs & Communications, GSK. “Un’azienda come la nostra può fare molto ma ha bisogno di costruire delle partnership: con le Associazioni di pazienti in primis ma anche con chi ha le competenze e la credibilità scientifica e sociale, come la Fondazione AIOM. La campagna è in linea con la nostra filosofia, il nostro approccio. In più è innovativa, guarda ai potenziali fruitori attraverso modelli comunicativi e linguaggi diversi che non escludono nessuno: dalla teenager alla signora di una certa età e perché no, ai maschi, mariti e compagni. Per questo abbiamo deciso di partecipare e di essere l’unica azienda a supportare questa iniziativa”.
La voce delle Associazioni –
Alessia Sironi, Presidente ACTO Lombardia – “ACTO Lombardia fa parte della rete ACTO – Alleanza contro il tumore ovarico, e ne condivide la missione di migliorare la conoscenza della malattia, stimolare la diagnosi tempestiva, promuovere l’accesso a cure di qualità, sostenere la ricerca scientifica e tutelare i diritti delle donne affette da tumore ovarico e tumori ginecologici e dei loro familiari. ACTO Lombardia ha sede a Monza ma si rivolge alle donne su tutto il territorio lombardo, soprattutto a Monza, Lecco e Bergamo, con varie iniziative di supporto alle pazienti, per citare la più recente la “Casa delle Donne”, incontri periodici tra pazienti, medici ed esperti in vari campi che vanno oltre le pure cure mediche, come la psicologia, l’oncoestetica, la nutrizione, l’attività fisica, perché riteniamo che una donna debba essere curata non solo a livello medico ma seguita globalmente durante e dopo la diagnosi di tumore ovarico. Sebbene la pandemia ci abbia spinte a trasferire gli incontri sul web, la partecipazione è sempre numerosa, a testimonianza del fatto che trovarsi e parlare dei problemi comuni è un grande aiuto alle donne colpite dalla malattia. ACTO Lombardia condivide poi con tutta la rete ACTO le iniziative di carattere nazionale ed è presente sul sito con la sua sezione al link https://www.acto-italia.org/acto-lombardia/acto-lombardiacon nella quale è possibile iscriversi, fare donazioni direttamente ad ACTO Lombardia e seguire eventi e news”.
Elisabetta Capittini, Referente aBRCAdaBRA – “L’approccio terapeutico al tumore ovarico dopo accertamento di mutazione BRCA è sicuramente diverso e più appropriato, per cui è fondamentale per la donna sapere di essere o non essere portatrice di questa mutazione genetica. Ciò per due motivi, il primo riguarda la scelta terapeutica. Attualmente noi sappiamo che le nuove terapie con i PARP-inibitori danno ottimi risultati in termini di efficacia e di prognosi sia nelle pazienti con mutazione BRCA sia nelle pazienti senza questa mutazione. Il secondo motivo riguarda la possibilità di poter tracciare, una volta identificata, la presenza della mutazione BRCA all’interno del nucleo familiare. Come sappiamo, essere portatori di una mutazione del gene BRCA comporta un rischio aumentato di sviluppare il tumore ovarico compreso tra il 20% e il 40% e un rischio aumentato di sviluppare un tumore della mammella fino al 75%. Oggi, secondo le linee guida AIOM, tutte le donne con diagnosi di tumore ovarico devono effettuare il test genetico. Sappiamo però che questo non accade sempre, i dati AIOM riportano che solamente il 65% delle donne diagnosticate ricevono la consulenza genetica, per cui è essenziale ampliare l’accesso e renderlo omogeneo sul territorio nazionale”.