Il cuore delle donne è a rischio. Ma molte, troppe, non lo sanno. Hanno sintomi diversi rispetto agli uomini, come diversi sono i fattori di rischio, quali sindrome dell’ovaio policistico, menarca precoce, terapie contraccettive orali, ansietà e depressione, complicanze della gravidanza, malattie autoimmuni, menopausa prematura, terapie per cancro al seno.
Eppure, la consapevolezza pubblica e professionale di queste importanti differenze rimane bassa: diversi studi mostrano che le donne sono meno informate degli uomini sui propri rischi cardiovascolari, e partecipano meno anche ai programmi di screening, con conseguenze negative sulla prevenzione e sulla gestione delle malattie cardiovascolari (CV).
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E’ necessario, dunque, un cambio di rotta. Ed è questo l’obiettivo de “Le donne verso un cuore consapevole”, l’evento organizzato a Milano, nella sede dell’Unione Femminile Nazionale, che ha promosso il confronto tra esperti italiani di varie discipline sulle differenze di genere nelle patologie cardiovascolari, sul ruolo della prevenzione mirata e dell’innovazione digitale, affinché la salute delle donne sia riconosciuta come fondamentale investimento sociale ed economico, e la medicina di genere diventi realmente obiettivo strategico della sanità pubblica italiana.
Oltre a cardiologi, ricercatori, analisti e psicologi, anche i pazienti hanno potuto far sentire la loro voce sul tema, attraverso una tavola rotonda che ha visto il confronto dell’Associazione per la lotta all’ictus cerebrale (A.L.I.Ce. Italia ODV), del Coordinamento Nazionale Associazioni del Cuore (Conacuore ODV) e della Fondazione italiana per il cuore (FIPC).
“La valutazione del rischio cardiovascolare nella donna dovrebbe essere eseguita lungo tutto il suo arco di vita, in quanto può modificarsi in qualunque momento – ha spiegato – Adele Lillo, cardiologa e referente nazionale del Gruppo Studio Malattie CV di Genere A.R.C.A. Infatti, il riconoscimento precoce ed il trattamento dei fattori di rischio possono alterare la traiettoria degli eventi cardiovascolari avversi”. La scarsa consapevolezza del rischio cardiovascolare è stata confermata anche da CARIN WOMEN survey, lo studio multicentrico osservazionale condotto da A.R.C.A. (Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali), che ha coinvolto 49 ambulatori cardiologici su tutto il territorio nazionale. Su 5600 pazienti intervistate, poco più del 10% si è ritenuta ad alto rischio cardiovascolare.
Le donne, inoltre, vivono più a lungo degli uomini. Ma questo, pur essendo un dato positivo, si scontra con il fatto che le condizioni di salute sono peggiori.
Le patologie cardiovascolari insieme a quelle oncologiche, sono le principali cause di mortalità e disabilità in Italia per la popolazione femminile. Le patologie CV hanno un costo annuale di circa 41 miliardi di euro, di cui 3/4 legati a costi diretti e 1/4 a quelli indiretti e comportano in media 59 giorni di lavoro persi. Solo ictus e infarto pesano sul carico di cattiva salute femminile per il 10%,
“Migliorare la salute femminile significa, da un lato, sostenere la crescita economica di ogni Paese favorendo livelli più elevati di istruzione e partecipazione alla forza lavoro delle donne, dall’altro, generare benefici intergenerazionali sia sanitari che sociali. A livello globale, lo dimostra una correlazione positiva tra PIL pro capite e stato di salute femminile” ha osservato Irene Gianotto, consulente di The European House – Ambrosetti., “Investire nella Medicina di Genere non genera benefici solo per la salute delle donne. Integrando le differenze biologiche e sociali in prevenzione, diagnosi e trattamento, quest’approccio garantisce cure più appropriate per tutti, con benefici anche per gli uomini e altri gruppi quali anziani, bambini, transgender. Non dimentichiamoci infine che nel 70-80% dei casi la salute familiare è gestita dalle donne. La salute delle donne, in molti casi, è anche quella delle famiglie di cui fanno parte”.
Purtroppo, ancora oggi la ricerca pre-clinica e clinica non tiene conto delle differenze di sesso e genere e le donne sono ancora sottorappresentate nelle diverse fasi degli studi clinici, non permettendo l’individuazione di percorsi di prevenzione, diagnosi e cura appropriati e specifici per entrambi i sessi. Un esempio sono le malattie cardiovascolari classicamente considerate un problema al maschile ma che di fatto, sono la principale causa di morte delle donne.
Alla base di questa evidenza ci sono diverse cause, quali la diversa sintomatologia (1 paziente donna su 3 presenta sintomi atipici), la sottostima dei sintomi e del rischio da parte dei medici e delle stesse donne, che porta a ritardi nella diagnosi e presa in carico, minore accesso a trattamenti terapeutici e dispositivi innovativi, con conseguente maggiore probabilità di eventi avversi. “L’adozione della medicina di genere come strategia sanitaria è cruciale per garantire diagnosi più tempestive e percorsi terapeutici adeguati, per migliorare l’appropriatezza delle cure e ridurre il gender gap in termini di salute e aspettativa di vita in buona salute”, ha commentato Elena Ortona, Direttrice del Centro di Medicina di Genere dell’ISS, “Considerare il sesso e il genere nelle azioni di prevenzione e di cura è necessario per promuovere l’equità e l’appropriatezza degli interventi contribuendo a rafforzare la ‘centralità della persona’ e ad applicare una medicina personalizzata”.
Nel campo delle malattie cardiovascolari un aiuto arriva dalla telemedicina, dall’intelligenza artificiale e dai dispositivi indossabili, che permettono una gestione più efficiente del rischio cardiovascolare e una maggiore aderenza terapeutica, “con benefici per i pazienti, in particolare quelli affetti da cronicità che così assumono un ruolo attivo nella gestione della propria patologia e del regime terapeutico, e con un risparmio per il sistema sanitario nazionale, nonostante gli ostacoli di natura pratica, burocratica e socio-culturale”, ha sottolineato il prof. Enrico Caiani, Politecnico Milano – IRCCS Istituto Auxologico italiano
“Fondamentale è per esempio la scelta corretta degli strumenti hardware e software, che devono essere affidabili e sicuri, e tale scelta dovrebbe essere guidata dal medico. Per contro l’integrazione di tali soluzioni nei percorsi clinici e il loro livello di adozione da parte del personale sanitario, è frenato sia dalla assenza di meccanismi di rimborso per tali dispositivi (che restano a carico dei pazienti), che dal non riconoscimento della prestazione legata al tempo necessario a rivedere i dati del paziente e a interagire con esso – ha continuato Caiani – A tutto ciò si aggiunge il basso livello di competenze sanitarie della popolazione unito all’utilizzo di fonti di informazione online non sempre affidabili, soprattutto se generate dall’IA, e questo limita la corretta interpretazione dei propri sintomi”.
In questo contesto, particolare importanza assume la comunicazione tra medico e paziente, che può migliorare l’adesione alle cure e alle strategie di prevenzione, rafforzando l’alleanza terapeutica e il benessere delle donne. L’aspetto psicologico gioca, infatti, un ruolo fondamentale nel rischio cardiovascolare femminile, come ha evidenziato Alessandra Gorini, psicoterapeuta e professoressa di psicologia dell’Università di Milano,, “la scarsa consapevolezza delle donne del proprio rischio cardiovascolare è spesso determinata da un insieme di fattori ed esperienze personali, piuttosto che da dati oggettivi. Migliorare la comunicazione e la relazione medico-paziente, anche con l’ausilio di soluzioni tecnologiche, può dunque promuovere un cambiamento psico-comportamentale che risulti in una prevenzione cardiovascolare più efficace e consapevole”.