Non se ne parla mai abbastanza. Ecco perchè ribadire il concetto è indispensabile. Per farlo, è attiva fino al 2 marzo una campagna internazionale che intende informare sui rischi causati dall’herpes zoster, noto come fuoco di Sant’Antonio. La malattia, infatti, è tanto più pericolosa quanto più aumenta l’età. E anche nel caso di alcune patologie concomitanti. Ma la vaccinazione scongiura questo rischio.
Infatti, circa 1 individuo adulto su 3 è a rischio di sviluppare un episodio di Herpes Zoster nel corso della propria vita. Le persone a rischio per età o patologia possono vaccinarsi e la vaccinazione disponibile è sicura, efficace fino all’89% a dieci anni, con dati che mostrano una protezione anche oltre.
Detto così, sembra semplice, eppure… secondo un’indagine internazionale, una persona su due in buona salute del nostro Paese ancora non conosce la pericolosità dell’Herpes Zoster e soprattutto fra i 50 ed i 60 anni ne sottovaluta i rischi. Il proprio medico di fiducia è la prima fonte di informazione e durante questa settimana dedicata alla conoscenza del Fuoco di Sant’Antonio è possibile ricevere i consigli degli esperti.
Il Fuoco di Sant’Antonio, oltre a creare seri problemi, può avere anche serie conseguenze, come la nevralgia post-erpetica, caratterizzata da forti dolori che possono continuare anche per settimane o mesi dopo la scomparsa dei principali sintomi della malattia.
Oppure problemi agli occhi per l’interessamento del nervo trigemino, o altre ancora. Esistono infatti diverse patologie che possono combinarsi sfavorevolmente con l’Herpes Zoster, sia aumentando il rischio che una persona lo possa sviluppare sia per la complessità che la malattia può creare nella gestione del paziente. Basti pensare ai diabetici: in questa popolazione l’Herpes Zoster può peggiorare il controllo glicemico e comportare un aumento del rischio di nevralgia post-erpetica.
«La vaccinazione in età adulta e avanzata – commenta Enrico Di Rosa, direttore del Servizio “Igiene e Sanità Pubblica” della ASL Roma 1, e presidente della Società Italiana d’Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) – rappresenta una strategia di sanità pubblica fondamentale per il singolo e per la comunità, anche alla luce del trend demografico del nostro Paese. Gli over 65 italiani rappresentano il 23% della popolazione totale, e nel 2050 si prevede che ne costituiranno fino al 35%. Secondo uno studio condotto dagli esperti di Altems Advisory (Università Cattolica del Sacro Cuore) se raggiungessimo gli obiettivi di vaccinazione previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, risparmieremmo 10 miliardi di euro annui di spese sanitarie, mancata produttività e altri costi correlati, che andrebbero ad accrescere il nostro PIL e la possibilità di investimento in altre priorità sanitarie. In quest’ottica la vaccinazione contro l’Herpes zoster è una soluzione per fare fronte in modo equo ai bisogni medici della comunità e della popolazione per continuare ad essere attiva e produttiva».
Le probabilità di sviluppare l’Herpes Zoster aumentano progressivamente con l’avanzare dell’età. Ma anche la presenza di alcune situazioni molto diffuse (come diabete, malattie reumatologiche o di condizioni che comportano uno stato di immunodepressione come le terapie per patologie onco-ematologiche) possa rappresentare di per sé un fattore di rischio, a prescindere dall’età.
Nel nostro Paese le malattie croniche interessano il 40,5% della popolazione italiana (24 milioni), mentre le persone affette da almeno due patologie croniche sono 12,2 milioni. Gli ultra 75enni affetti da una patologia sono l’85%, il 64,3% da due o più patologie. In base ai dati la tendenza è che nel 2028, i malati cronici saliranno a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni (fonte XXII Rapporto sulle politiche della cronicità – Cittadinanzattiva 2024). Eppure stando ad un sondaggio condotto da Ipsos Healthcare, per conto di GSK, considerando chi appunto soffre di cronicità di questo tipo, emerge addirittura un livello di conoscenza più basso rispetto all’intera popolazione dei sani: il 49% delle persone non conosce l’Herpes Zoster o ha solo qualche vaga informazione al riguardo. Insomma, in Italia come negli altri Paesi circa la metà della popolazione ignora che le cronicità come diabete, malattie respiratorie e malattia renale cronica nonché le patologie reumatologiche ed onco-ematologiche possono indebolire il sistema immunitario e quindi aumentare i rischi di sviluppare lo Zoster.
«Il medico di medicina generale è il primo punto di riferimento per i cittadini – dichiara Tecla Mastronuzzi, Medico di Medicina Generale di Bari, responsabile nazionale della Macroarea Prevenzione della SIMG – e sappiamo bene che questo è vero soprattutto per i pazienti anziani e per i pazienti fragili, per malattie e conseguenti terapie o per le precarie condizioni sociali. La riattivazione dello zoster per questi pazienti rappresenta un “incidente” che cambia la vita. Il tasso di incidenza di ospedalizzazioni per Zoster è 20 volte maggiore negli over 79 e 11 volte maggiore nei soggetti tra i 70 e i 79 anni, rispetto a quelli che hanno meno di 50 anni. Senza dimenticare che l’ incidenza di mortalità è pari all’1,7% durante il ricovero. Quello che abbiamo capito più recentemente è che le complicanze e le conseguenze dell’HZ non terminano con la manifestazione clinica della malattia: conosciamo bene la nevralgia post herpetica e le temibili conseguenze del coinvolgimento oculare ma oggi sappiamo che nel paziente con HZ aumenta in rischio di eventi cardiovascolari e neurologici. La vaccinazione, dunque, rappresenta uno strumento fondamentale per prevenire non solo la riattivazione della malattia, ma anche il decadimento delle condizioni generali di salute che si può associare a questa condizione».
Dall’indagine Ipsos emerge che i pazienti con malattie cardiovascolari e respiratorie sono quelli maggiormente informati sul rischio di sviluppare Herpes Zoster, mentre le persone con nefropatie risultano essere le meno informate. Seguono, sempre in termini di consapevolezza del rischio, i pazienti con diabete e gli immunosoppressi. In generale, tuttavia, il “non mi riguarda” è piuttosto diffuso, come se esistesse una discrepanza netta tra il rischio percepito e le reali implicazioni sfavorevoli in cui potrebbero incorrere queste categorie di pazienti.
«È importante promuovere la vaccinazione nei pazienti oncologici. – spiega Sandro Pignata, Direttore dell’Oncologia Medica presso l’IRCCS Istituto Nazionale Tumori Fondazione G. Pascale di Napoli e responsabile scientifico della Rete Oncologica Campana (ROC). – Per farlo è però necessario partire dagli operatori sanitari: la cultura vaccinale, la consapevolezza del suo valore, l’informazione corretta è fondamentale proprio per garantire un’adesione consapevole alla vaccinazione, che non solo è parte integrante del trattamento oncologico, ma preserva la qualità della vita dei pazienti. La Regione Campania ha istituito la Rete Oncologica Campana, coordinata dall’Istituto Pascale, per identificare i centri specializzati nella prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dei tumori maligni e le vaccinazioni rientrano a pieno titolo nella presa in carico del paziente. Anche le linee guida AIOM raccomandano la vaccinazione contro l’Herpes Zoster. In chi si trova ad affrontare un tumore solido del sistema nervoso centrale o in generale un cancro gastrico, colorettale, polmonare, mammario, ovarico, prostatico, renale e vescicale, si calcola sia associato un aumento del rischio di infezione da Herpes Zoster tra il 10-50%».
«È importante proteggere i pazienti con malattie reumatologiche. – commenta Andrea Doria, professore di Reumatologia presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia presso l’azienda Ospedale-Università di Padova e presidente SIR – Ad esempio in caso di lupus eritematoso sistemico (LES), il rischio di Herpes Zoster aumenta del 150% rispetto alla popolazione di confronto. Per quanto riguarda l’artrite reumatoide, due studi che hanno coinvolto oltre 160.000 pazienti dimostrano che il rischio è quasi doppio rispetto alla popolazione generale. Anche i farmaci necessari per il trattamento delle malattie reumatologiche – cortisone, immunosoppresori, farmaci biologici e JAK inibitori – possono influire sul rischio».