Il 21 settembre ricorre la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, con cui convive un over 50 su 5, per un totale in Italia di circa 600 mila persone. Nel nostro Paese sono 3 milioni i cari che li assistono e si accorgono dei primi segnali della malattia, spesso subdoli da identificare, anche se intervenire precocemente offre nuove opportunità per rallentarne la progressione.
Con l’obiettivo di “non dimenticarsi” dell’Alzheimer, invitando tutti a conoscerlo, che a pochi giorni dalla Giornata Mondiale, che ricorre il 21 settembre, con il patrocinio di AIMA – Associazione italiana malattia di Alzheimer, SIN – Società italiana di Neurologia, e SINDEM – Associazione autonoma aderente alla SIN per le demenze, parte la campagna di sensibilizzazione “Pensaci, per non dimenticarlo”, che si propone di riscrivere la narrazione corrente della malattia di Alzheimer, favorendo una maggiore consapevolezza dei primi sintomi della malattia così da rendere sempre più frequente una diagnosi precoce, fondamentale per intervenire sulla progressione di malattia e garantire una migliore qualità e aspettativa di vita delle persone che ci convivono.
Il video integra una parte emozionale, basata su brani tratti dal romanzo “Elegia per Iris” di John Bailey, letti dalla voce d’eccezione dell’attore Luca Ward, in grado di ingaggiare su un piano intimo ed emotivo, e una parte scientifica. Quest’ultima approfondisce in modo chiaro la necessità di consapevolezza dei primi segni di malattia e della presa in carico da parte di esperti medici attraverso le voci di Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia e Presidente Sin, Annachiara Cagnin, Responsabile Centro per il declino cognitivo e la demenza della Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedale-Università di Padova e Segretario Sindem e Patrizia Spadin, Presidente Aima.
La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa debilitante che colpisce prevalentemente il cervello, con una serie di sintomi, che coinvolgono sia le capacità cognitive che quelle funzionali. Col tempo, ruba i ricordi, la qualità della vita e l’indipendenza nella quotidianità di milioni di persone in Italia e nel mondo, con un impatto emotivo molto forte anche sulle persone che stanno loro accanto.
Oggi diagnosticare precocemente la malattia e intervenire in una fase precoce può consentire di rallentarne la progressione permettendo così ai pazienti di avere più tempo di qualità davanti a loro, da trascorrere con i propri cari o facendo ciò che per loro conta davvero.
La malattia di Alzheimer può progredire lentamente nell’arco di 10-20 anni, passando dalla fase preclinica non sintomatica, alla demenza grave, con un impatto sempre maggiore sulla vita quotidiana. Le persone che presentano un decadimento cognitivo lieve o una demenza lieve, quando dovute alla malattia di Alzheimer, possono essere descritte come individui con una malattia sintomatica precoce. Ricevere una diagnosi all’inizio della progressione della malattia offre a queste persone, ai loro cari e ai medici, più tempo per prendere decisioni personali e mediche, nonché la possibilità di modificare alcuni stili di vita e intervenire precocemente.
A livello globale, il numero di persone di età pari o superiore ai 50 anni affette dalla malattia di Alzheimer si stima essere circa 416 milioni, ovvero più di una persona su cinque. In Italia sono circa 600 mila le persone con malattia di Alzheimer, e complessivamente è stimato in oltre un milione il numero delle persone con demenza; si stima inoltre che circa 3 milioni di persone siano direttamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari che ne soffrono. Questa malattia ha un onere economico a livello italiano di circa 15 miliardi annui[3]. Tuttavia, nonostante la rilevanza di questi numeri, destinati a crescere anche a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, le persone affette da demenza ricevono una diagnosi accurata e tempestiva in meno del 20 per cento dei casi a causa dell’impreparazione dei sistemi sanitari e dello stigma della malattia che fa ritardare il primo accesso al percorso diagnostico.
«La malattia di Alzheimer inizia spesso con piccoli segni, di cui a volte non è facile accorgersi – dichiara Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia e Presidente Sin – A volte, soprattutto nelle persone che sono avanti negli anni, questi piccoli deficit non vengono riconosciuti: dimenticare dove si è posteggiata l’auto, attribuire dei nomi diversi alle persone che si conoscono, o anche solo cambiare abitudini. A volte si tratta di segnali subdoli e difficili da intercettare. È importante non derubricare, o ritenere che tutto questo sia normalmente legato all’invecchiamento, perché può essere il segnale, invece, di una malattia come la malattia di Alzheimer che comporta un peggioramento continuo».
«Oggi ci troviamo di fronte a uno scenario inedito: per la prima volta la ricerca scientifica sta per fornire soluzioni in grado di interferire con l’andamento della patologia d’Alzheimer – dichiara Annachiara Cagnin, Responsabile Centro per il declino cognitivo e la demenza della Clinica Neurologica dell’Azienda Ospedale-Università di Padova e Segretario Sindem – Si passa dall’avere a disposizione soluzioni che agiscono sul sintomo cognitivo o comportamentale, a trattamenti che possono rallentare la progressione o ritardare l’esordio dei sintomi se utilizzati in una fase precoce di malattia. Per questo è importante, se si avvertono dei segnali di allerta persistenti o ricorrenti, rivolgersi al medico di medicina generale o allo specialista, per avviare anche dei semplici esami che consentano di capire il rischio, lo stato di salute del cervello, l’eventuale diagnosi e, se serve, il trattamento farmacologico di oggi e di domani».
«I familiari sono i primi a rendersi conto del cambiamento in atto nelle persone con Alzheimer. – dichiara Patrizia Spadin, Presidente Aima – Oggi è importante che la loro attenzione si modifichi, imparando a cogliere non solo i sintomi della malattia, ma anche i primi segnali di deterioramento cognitivo. Questo può condurre a un percorso di accertamento diagnostico che permetterà di avere una vita migliore, più tutelata sia per il paziente sia per il caregiver che lo dovrà seguire e accompagnare negli anni futuri. Anche la nostra società nel suo insieme deve però assumersi il compito, in questo momento, di diventare una sentinella della buona salute di tutti, appoggiando, all’interno delle istituzioni, la costruzione di percorsi di prevenzione e diagnosi. È giunto il momento che la storia della malattia d’Alzheimer e dei pazienti che ne sono colpiti possa finalmente cambiare».