Influenza aviaria: un virus in evoluzione. Meglio non farsi trovare impreparati

Dopo gli uccelli e le oche ora tocca anche alle mucche. A colpire questi animali è l’ultima versione del virus dell’influenza aviaria H5N1 che, individuato in Cina parecchi anni fa, si è poi diffuso in gran parte del mondo contagiando, per fortuna, in modo occasionale gli esseri umani. Questo fino ad oggi. Ma una cosa è certa, il virus aviario va comunque strettamente monitorato, in quanto il rischio che diventi un problema anche per l’uomo è alto. Si tratta infatti di un patogeno che si evolve facilmente e che sta mutando in modo da adattarsi non solo ai mammiferi, salto già avvenuto, ma anche potenzialmente alle persone.

Le numerose interazioni tra bovini ed essere umano potrebbero, infatti, aumentare le probabilità che l’H5N1 possa mutare in un ceppo in grado di infettare più facilmente l’uomo e addirittura trasmettersi da una persona all’altra, provocando la prossima pandemia influenzale.

“Ecco perché è necessaria una sorveglianza sempre più stringente sugli animali, non soltanto i volatili, sugli alimenti di origine animale consumati dall’uomo e sugli uomini stessi cominciando a fare controlli, magari a campione, anche sull’uomo in modo da capire quanto nel mondo l’aviaria stia circolando, anche con sintomi non significativi. È indispensabile farci trovare pronti, preparati a una nuova possibile futura pandemia. Bisogna approntare in fretta test rapidi per la diagnosi, farmaci antivirali e soprattutto vaccini da poter somministrare all’occorrenza, in un momento in cui in generale si sta dando poca importanza alla prevenzione vaccinale”, afferma il Professor Fabrizio Pregliasco, Direttore scientifico di Osservatorio Influenza, Direttore della scuola di specializzazione in igiene e medicina preventiva dell’Università degli studi di Milano e Direttore sanitario d’azienda dell’IRCCS ospedale Galeazzi Sant’Ambrogio di Milano.

Negli Stati Uniti, dopo l’unico caso umano segnalato ad aprile in Texas, nelle ultime settimane non solo sono state rinvenute nelle acque reflue quantità significative di materiale virale, ma sono state anche trovate tracce genetiche del virus H5N1 in un’ampia percentuale di latticini in commercio. Secondo gli esperti queste prove indicherebbero la presenza di molti animali infetti in modo asintomatico e quindi una diffusione del virus più ampia di quella fotografata dai contagi segnalati. Per il momento, però, non sarebbero motivo di preoccupazione per gli esseri umani e per i consumatori di latte. Sulla base delle informazioni disponibili l’Oms continua, infatti, a valutare basso il rischio di salute pubblica derivante dall’influenza aviaria H5N1 per la popolazione generale, e moderato per chi è abitualmente esposto ad animali potenzialmente infetti.

Il consiglio in tutti i Paesi è comunque quello di non consumare latte crudo ma esclusivamente pastorizzato, visto che la pastorizzazione si è rivelata efficace nell’inattivare il virus dell’influenza aviaria.

Per informazioni www.osservatorioinfluenza.it

 

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