In Italia il 4,7% della popolazione adulta fra i 18 e i 69 anni ha ricevuto una diagnosi di diabete. La prevalenza del diabete cresce con l’età (è inferiore al 3% nelle persone con meno di 50 anni e supera il 9% fra quelle di 50-69 anni), è più frequente fra gli uomini che fra le donne (5,3% vs 4,1%), e nelle fasce di popolazione più svantaggiate per istruzione o condizioni economiche.
Secondo i l’ISS (Istituto Superiore di Sanità), almeno un diabetico su sei viene ricoverato in ospedale almeno una volta all’anno, un tasso doppio rispetto alla popolazione normale (235 ogni mille persone contro 99). Inoltre, questi pazienti rimangono in ospedale in media una giornata e mezza in più rispetto agli altri, con un evidente aggravio di costi per il SSN. Se la spesa attribuibile al diabete mellito nel Sistema Sanitario Nazionale si colloca attorno ai 10 miliardi di euro, la quota più importante della spesa (50-70%) è legata proprio ai ricoveri ospedalieri e alle complicanze.
Sulla base di queste evidenze uno studio realizzato da Bhave su oltre 100 strutture ospedaliere in tutta Italia e su circa 300mila accessi in Pronto Soccorso ha evidenziato la necessità di realizzare un network efficace ed efficiente tra territorio, rete di assistenza e paziente diabetico, con l’obiettivo di prevenire le complicanze croniche dei malati migliorandone lo stato di salute, riducendo i costi in capo al Servizio Sanitario Nazionale, e liberando le strutture di Pronto Soccorso dai casi non urgenti ed evitabili.
Ad essere presi in considerazione sono stati 290mila accessi rilevati su 109 strutture di emergenza sul territorio. Nel campione sono rappresentate tutte le fasce di età, con maggiore prevalenza della fascia centrale 19-49 anni per il diabete tipo 1 (63-74%) e della fascia 50-64 anni (35-44%) per il diabete tipo 2. Le principali motivazioni di accesso in pronto soccorso per diabete sono: ipoglicemia (20-56%); iperglicemia (16-45%); chetoacidosi (11-32%); piede diabetico (0-15%).
I risultati, presentati in Senato in un incontro dal titolo “Diabete in pronto soccorso: e dopo?”, hanno visto politici, clinici e soprattutto pazienti fare il punto sul follow up di coloro che accedono a queste strutture in situazioni di emergenza.
Comeha sottolineato la Senatrice Daniela Sbrollini, Vice Presidente della 10ª Commissione permanente del Senato e Presidente dell’Intergruppo parlamentare obesità, diabete e per le malattie croniche non trasmissibili “l’organizzazione della medicina sul territorio deve liberare il Pronto Soccorso dai casi che non sono urgenti e che sono gestibili al di fuori dei presidi ospedalieri. Sono due punti fermi sui quali la sanità Nazionale sta mostrando seri limiti di efficienza. Ma questi servizi stanno mostrando ogni giorno carenze che non possono essere imputate agli operatori sanitari. La cronicità e il diabete in particolare rappresentano casi emblematici di come il territorio deve interfacciarsi con le strutture specialistiche, per ridurre al minimo le problematiche relative agli accessi ai pronto soccorsi, relative alle urgenze per ipo e iperglicemie gravi”.
Presentando i dati principali dello studio, il Dott. Francesco Pugliese, Direttore del Dipartimento Emergenza presso l’Ospedale Pertini di Roma, oltre a evidenziare una non adeguata gestione del paziente diabetico ospedalizzato, ha rilevato che il Pronto Soccorso molto spesso si deve occupare di complicanze relative a patologie croniche non adeguatamente gestite dalla medicina territoriale e che, questo fenomeno, grava pesantemente su queste strutture anche in termini di efficienza della spesa sanitaria. “La soluzione può venire solo da un percorso diagnostico terapeutico assistenziale specifico ed efficiente, che veda un’adeguata formazione del personale ospedaliero e territoriale, l’informazione del paziente/caregiver e degli operatori sanitari, oltre ad una reale presa in carico del paziente diabetico che deve prevedere un percorso assistenziale multiprofessionale, multidisciplinare, condiviso con tutti gli attori, compreso il paziente stesso e senza discontinuità. Un percorso oggi più agevolmente perseguibile anche con l’ausilio delle nuove tecnologie”.
“I pronto soccorso sono uno snodo vitale della nostra sanità e devono essere posti dove l’operatore sanitario deve poter svolgere la propria attività con serenità e nel rispetto delle vere urgenze – ha affermato il Senatore Guido Quintino Liris, Intergruppo Parlamentare per la prevenzione delle emergenze e l’assistenza sanitaria nelle aree interne, componente 5ª Commissione permanente del Senato – rafforzando l’organico del personale sanitario, soprattutto nei servizi di emergenza/urgenza, rendendo più attrattivo e sicuro il lavoro nei reparti di pronto soccorso. Nel contempo, non bisogna dimenticarsi delle urgenze sanitarie nelle aree interne marginali, dove spesso il ricorso al pronto soccorso è difficile e complesso. Vogliamo lavorare per consentire a tutti un accesso alle cure, nel rispetto del lavoro degli operatori sanitari e potenziando la presa in carico del paziente cronico e diabetico”.
Da qui l’importanza di un approccio efficace ed efficiente, che cerchi di portare il sistema sanitario da un concetto di sanità d’attesa, e quindi di cura della malattia, ad un concetto di sanità di iniziativa, e quindi di formazione e prevenzione di pazienti e caregivers e dove l’utilizzo dei sistemi innovativi di monitoraggio del diabete potrebbero consentire una presa in carico ottimale del paziente, riducendo così il rischio di eventi acuti e complicanze croniche, e quindi di accessi in pronto soccorso.
Uno scenario sanitario, quello del diabete, rispetto al quale quale si è inserita una sottolineatura del Senatore Mario Occhiuto, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare qualità di vita nelle città: “Bisogna potenziare i pronto soccorsi nelle realtà urbane, come presidi sanitari indispensabili per le comunità locali. Se oltre il 70 per cento degli accessi presso queste strutture di emergenza è definito codice bianco o verde, ossia non urgente, significa che i cittadini hanno perso punti di riferimento territoriali e si riversano negli ospedali, dove l’attenzione è focalizzata verso le urgenze. Il sovraffollamento dei pronto soccorsi è il sintomo di una malattia più grande, che possiamo fermare solo attraverso azioni concrete e strutturali.”
Interessanti, secondo quanto ha rilevato dallo studio, anche i dati sulle terapie: insulina ed ipoglicemizzanti orali tradizionali sono le tipologie di farmaci maggiormente utilizzati dal paziente prima dell’arrivo in PS. Le percentuali di utilizzo dei nuovi ipoglicemizzanti orali, dei GLP-1 e degli SGLT-2 sono bassissime. Questo può essere un indicatore indiretto della “ripetitività” prescrittiva dei medici di medicina generale, oppure dello scarso aggiornamento degli stessi in materia, oppure ancora della reticenza del paziente a cambiare tipologia di farmaco assunto.
Un dispositivo di monitoraggio continuo della glicemia è utilizzato solo dal 50% circa dei pazienti: un altro dato indice della necessità di formazione/aggiornamento della medicina di territorio per indirizzare i pazienti verso l’impiego di strumenti capaci di rilevare le oscillazioni dei valori in qualsiasi momento e ridurre così il rischio di eventi acuti e complicanze croniche.
Interessanti anche le informazioni relative alle dimissioni dall’ospedale: negli accessi per ipoglicemia e per iperglicemia i pazienti vengono inviati alla dimissione al centro antidiabetico; solo per la chetoacidosi è previsto anche il ricovero.