Le ultime stime disponibili, al 2020 (Fonte: I numeri del cancro in Italia 2022, AIOM-AIRTUM), riferiscono 5.200 nuove diagnosi e 3.200 decessi, una sopravvivenza netta del 43% a 5 anni dalla diagnosi e una aspettativa di vita di ulteriori 4 anni, pari al 55%, condizionata dall’avere superato il primo anno dopo la diagnosi. Oggi sono 49.800 le donne viventi in Italia dopo una diagnosi di tumore dell’ovaio, ancora troppo poche.
Invertire questa tendenza è impegno e obiettivo della Ricerca medica, che persegue con due armi potenzialmente efficaci, fino a sperare vincenti: la possibilità di anticipare la diagnosi della malattia e delle sue recidive, e la possibilità di predire l’efficacia individuale di alcune terapie innovative, come gli inibitori dell’enzima PARP (Parp-inibitori), efficaci nel controllare la malattia in alcune tipologie di pazienti.
Su queste armi si incentra la “sfida” che Fondazione Humanitas per la Ricerca lancia al tumore dell’ovaio, i cui numeri critici sono spiegati dal fatto che nell’80% dei casi, a causa della sua asintomaticità, il tumore dell’ovaio viene diagnosticato tardivamente, in stato già avanzato o metastatico. Batterlo sul tempo, intercettandolo in una fase più iniziale, e riconoscerne le diverse tipologie, rendendolo dunque più facilmente curabile, sono gli obiettivi di alcuni progetti di Ricerca che il prof. Maurizio D’Incalci, responsabile del Laboratorio di Farmacologia antitumorale di Humanitas e docente di Humanitas University e il suo team di ricercatori, stanno conducendo grazie anche a finanziamenti della stessa Fondazione. Come spiega il professore «stanno destando interesse i PARP-inibitori. Questi farmaci si sono già dimostrati particolarmente efficaci in caso di mutazioni nei geni BRCA1 e 2. Recenti ricerche però, a cui abbiamo contribuito in Humanitas, dimostrano che questi farmaci sono potenzialmente efficaci anche in altre pazienti, come quelle affette da tumori che presentano difetti nel meccanismo di riparazione del DNA chiamato “homologous recombination repair. In oltre la metà dei casi di questo tipo, i PARP-inibitori si sono infatti dimostrati efficaci come terapia di mantenimento, avviata cioè dopo la classica chemioterapia con carboplatino e taxolo».
Un traguardo terapeutico importante, che dipende però dalla capacità di identificare le pazienti che presentano questa forma di malattia e di monitorare l’evoluzione del tumore nel corso del trattamento. Per farlo, i ricercatori stanno mettendo a punto un sistema poco invasivo per la paziente, maneggevole per il clinico e a basso costo per il sistema: la biopsia liquida.
«L’obiettivo del nostro progetto – spiega il professore – è rilevare nel plasma sanguigno, anziché nei tessuti tumorali, come normalmente accade, elementi che aiutino a capire se una paziente sta rispondendo positivamente alla terapia o se invece occorra virare verso un’altra opzione terapeutica. Lo studio, in particolare, ci permetterà di validare l’efficacia diagnostica della biopsia liquida in combinazione con gli esami radiologici. Secondo i nostri dati preliminari, questo protocollo permetterebbe anche di identificare, con un anticipo di circa 4-6 mesi rispetto alle metodiche standard, il rischio di ricomparsa di malattia. Ciò aprirebbe una preziosissima e importante finestra terapeutica in cui mettere in atto specifiche strategie terapeutiche per contrastare la ripresa di malattia. La biopsia liquida fornirebbe quindi diversi vantaggi: un monitoraggio più accurato delle pazienti, il risparmio di terapie inutili e inefficaci, laddove queste produrrebbero solo tossicità e non un reale beneficio».
Accanto alla biopsia liquida, il gruppo di D’Incalci sta anche lavorando a dei progetti per la diagnosi precoce della malattia. L’obiettivo è in questo caso riconoscere la presenza delle cellule mutate prima che la massa tumorale si manifesti clinicamente. «Abbiamo già identificato la “firma molecolare” del tumore all’ovaio: è la sua instabilità genomica, del tutto peculiare. Ecco perché la misurazione di questa instabilità genomica ha grandi potenziali dal punto di vista diagnostico. Ma solo la Ricerca può trasformare questo potenziale in realtà, ecco perché è fondamentale continuare a sostenerla».