Vengono dalla Campania, dalla Calabria, dalla Puglia, dalla Sicilia e dal Lazio. Sono i “migranti” della salute. Sono più di 67.000 persone affette da tumore che, ogni anno, lasciano le loro case per recarsi in altre regioni alla ricerca di cure adeguate che diano loro una speranza di guarigione. E’ quella che prende il nome di ‘mobilità passiva’: il 9,5% di tutti i ricoveri oncologici e oncoematologici, percentuale che scende all’8,5% se si considera solo la mobilità extra-regionale e non quella cosiddetta “di prossimità”. Dunque, il fenomeno della migrazione sanitaria in oncologia, nonostante una flessione negli ultimi 10 anni, è sempre vivo e necessita di attenzione da parte delle Istituzioni.
I risultati di un’indagine socio economica – Sono le principali evidenze di un’indagine socio-economica realizzata dal Centro per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (C.R.E.A. Sanità), nell’ambito delle attività del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”, coordinato da Salute Donna Onlus insieme a 35 Associazioni di pazienti oncologici e onco-ematologici, sulla migrazione sanitaria in oncologia, con un’analisi innovativa che mette a disposizione dati e proiezioni sull’impatto organizzativo ed economico di questo fenomeno, affrontando il tema della mobilità “di prossimità”, che non è sempre evitabile, e andando per la prima volta a profilare il paziente oncologico in mobilità. L’obiettivo è quello di collaborare con le Istituzioni per comprendere meglio le motivazioni alla base della migrazione sanitaria in oncologia, in vista della profonda riforma dell’assistenza e dell’organizzazione sanitaria che verrà posta in essere attraverso il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A guidare la classifica delle Regioni che accolgono più pazienti extra-regionali, Lombardia, lo stesso Lazio, Emilia-Romagna e Veneto, nelle quali vengono effettuati il 60% dei ricoveri per tumore in mobilità passiva.
L’impatto negativo dei ‘viaggi della speranza’ – “La migrazione sanitaria in oncologia è un tema che il nostro Gruppo ha sempre tenuto in grande considerazione: basti pensare che il Manifesto per i diritti dei pazienti oncologici con il quale, di fatto, nel 2014 è nato il progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” era proprio incentrato sulle difformità tra una Regione e l’altra nell’assistenza e nella cura dei pazienti oncologici e sull’aumento della mobilità passiva di questi pazienti”, dichiara Annamaria Mancuso, Coordinatrice del Gruppo “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” e Presidente Salute Donna onlus. “I cosiddetti “viaggi della speranza” che portano i pazienti con tumore e le loro famiglie a spostarsi per ricevere l’assistenza e il trattamento migliori sono la principale espressione di questa disparità territoriale, con conseguenze importanti sulla sfera economico-sociale dei nuclei familiari, costringendo intere famiglie a spostamenti frequenti che causano non solo un notevole dispendio di risorse economiche, sia diretto che indiretto (permessi di lavoro, aspettative etc.) ma hanno anche un importante impatto dal punto di vista dello stress psicologico e fisico, per i pazienti e per i loro caregiver”.
In termini economici, la mobilità passiva incide sui finanziamenti regionali nel campo dell’oncologia, con un range che va dal -3,2% della Lombardia al -40,9% del Molise. Tutte le Regioni del Sud perdono, esclusa la Sardegna (-9,0%), oltre il 13% del finanziamento per l’oncologia: di queste, Basilicata, Calabria e Molise perdono più del 30%. “L’indagine ha analizzato vari aspetti legati alla migrazione sanitaria in oncologia, tra i quali le ragioni che spingono i pazienti a muoversi e le loro caratteristiche socio-economiche”, dichiara Federico Spandonaro, Presidente C.R.E.A. Sanità e Professore presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. “Come anche l’impatto economico sulle Regioni che è molto rilevante, soprattutto per quanto riguarda le Regioni del Sud. Per avere una dimensione della questione abbiamo da una parte quasi 88 milioni di euro in più nelle casse della Lombardia, mentre la Campania perde finanziariamente circa 52 milioni di euro per effetto della mobilità. Complessivamente le Regioni del Sud perdono circa 160 milioni di euro, una quota estremamente rilevante. Come anticipato un aspetto di innovazione introdotto dall’indagine è quello di operare una distinzione tra una mobilità tra Regioni, evitabile, e una di prossimità, che può essere fisiologica, ove i Centri di cura più vicini (o più facilmente raggiungibili) sono fuori dai confini regionali: la migrazione sanitaria è, infatti, un fenomeno complesso che ricomprende aspetti certamente negativi (quali i costi dello spostamento), ma anche elementi positivi, come l’invio dei pazienti verso le strutture di eccellenza che per definizione devono assistere popolazioni ampie e quindi non sempre sono presenti vicino al domicilio”.
Il paziente oncologico si sposta dalla propria Regione prevalentemente per tumori della prostata, della vescica, del fegato e della tiroide, e circa un terzo dei ricoveri extra-regione è associato a un intervento chirurgico. “La classifica che vede in testa alcuni tipi di tumore rispetto ad altri si spiega innanzitutto perché ci sono alcune patologie oncologiche per le quali esistono dei Centri che, per l’esperienza e l’eccellenza maturate negli anni, sono considerati riferimenti per l’intero territorio nazionale”, spiega Massimo Di Maio, Segretario AIOM – Associazione Italiana Oncologia Medica e Professore Dipartimento di Oncologia, Università di Torino. “Questo vale specialmente per la chirurgia (e in misura minore anche per gli altri trattamenti): nel caso della chirurgia, la numerosità della casistica trattata è un parametro particolarmente rilevante per valutare la qualità del Centro. Naturalmente, questo non vuol dire che ci si debba spostare necessariamente molto lontano da casa. Le Reti oncologiche dovrebbero identificare, all’interno di ciascuna Regione, i Centri di riferimento per ciascuna patologia. Anche per i trattamenti medici, la migrazione è da considerare evitabile nella maggior parte dei casi. Le linee guida AIOM rappresentano un riferimento per le scelte diagnostiche e terapeutiche di tutte le oncologie italiane, e consentono scelte uniformi tra i vari Centri. Spostarsi ha senso solo in situazioni particolari, quando il paziente davvero non possa avere vicino casa un’opportunità che invece ha in un altro Centro, ad esempio in virtù della disponibilità di una sperimentazione clinica. Come oncologo, ho profondamente a cuore la qualità di vita dei pazienti, che è garantita anche dalla facilità di accesso alle cure”.
Le motivazioni alla base della mobilità del paziente oncologico possono rientrare nella sfera della sfiducia nei confronti dell’organizzazione sanitaria della propria Regione – È indicativo il fatto che la Campania, dove sono presenti Centri di comprovata eccellenza, tra i quali due riconosciuti IRCCS, sia in cima alla lista delle Regioni dalle quali i pazienti oncologici “fuggono”, oppure che il Lazio sia contemporaneamente al quinto posto tra le Regioni dalle quali i pazienti si spostano e al secondo posto tra quelle che accolgono più pazienti oncologici extraregione. “La migrazione sanitaria è un processo multifattoriale, tra le tante cause una sicuramente rilevante è la comunicazione a volte poco incisiva tra le Istituzioni sanitarie e il cittadino”, commenta Livio Blasi, Presidente CIPOMO – Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri. “Oggi i cittadini del Sud Italia continuano ad avere una percezione negativa dell’organizzazione sanitaria delle proprie Regioni a causa di problematiche come le lunghe liste d’attesa o lo scarso aggiornamento tecnologico, ma negli ultimi anni possiamo dire che c’è stato un appianamento del gap con le Regioni del Nord: anche le Regioni che sono più soggette a mobilità passiva in oncologia oggi si presentano con un corredo strumentale tecnologico all’avanguardia e, specialmente negli ultimi anni, c’è anche una maggiore equità dal punto di vista dei trattamenti. I pazienti dovrebbero essere messi a conoscenza di come le cose sono cambiate, di come i trattamenti innovativi siano disponibili anche al Sud e che nei Centri di eccellenza del meridione sono attivi studi clinici con la possibilità per i pazienti di accedere a terapie sperimentali. Questa percezione negativa ancora così radicata può essere superata a mio avviso con momenti educativi e di comunicazione, nei quali potrebbero essere coinvolti i Medici di Medicina Generale, che sono il primo interlocutore dei pazienti sul territorio”.