“Sono molte le morti improvvise in Italia, ma quello che effettivamente impressiona è il numero dei soggetti con un’età inferiore ai 35 anni colpiti, fino a mille morti improvvise l’anno, non soltanto tra gli sportivi ma anche tra i giovani che non praticano attività sportiva”, dichiara Francesco Fedele, Direttore del DAI (Dipartimento Assistenziale Integrato) Malattie Cardiovascolari e Respiratorie, Policlinico Umberto I Roma, e Direttore della Sezione di Cardiologia al Dipartimento Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche e Geriatriche, “Sapienza” Università di Roma. “Molte di queste morti potrebbero essere evitate ricorrendo a un semplice esame, l’elettrocardiogramma. Costa soltanto undici euro e penso che sia uno strumento adatto e appropriato anche perché il solo esame fisico e la storia del paziente non identificano i soggetti a rischio. L’importante è che l’elettrocardiogramma sia letto in maniera appropriata da persone competenti, cioè da un cardiologo, mentre da evitare senz’altro sono le letture automatiche tramite computer, che possono non identificare condizioni di patologia o addirittura creare falsi positivi”.
Con queste premesse i cardiologi hanno proposto, anche in collaborazione con il Ministero dell’Università e dell’Educazione, di fare un elettrocardiogramma dopo la pubertà, cioè nell’età compresa tra i quindici e i diciotto anni. “L’obiettivo della lotta alla morte cardiaca improvvisa nei giovani ha come primo perno l’elaborazione di un protocollo di screening cardiologico: la storia familiare e personale, l’esame obiettivo (auscultazione e misura della pressione) e l’elettrocardiogramma per tutti gli studenti”, prosegue Fedele. “Nei casi in cui nasca un sospetto di cardiopatia durante un elettrocardiogramma, subentra l’impiego dell’ecocardiogramma, esame di secondo livello. Il terzo step è l’approfondimento diagnostico nei casi non chiari, con l’impiego anche di tecniche invasive (risonanza magnetica nucleare cardiaca, esame elettrofisiologico, coronarografia, biopsia endomiocardica, mappaggio elettro-anatomico del cuore) fino alla diagnosi conclusiva e alla definizione di programma terapeutico. Infine c’è il quarto step: l’esame genetico con screening dei famigliari, nei casi di malattia geneticamente trasmissibile”.
Non sempre anche la coronarografia individua un infarto – Dolore al petto e al braccio sinistro, i sintomi rivelatori di un infarto, la corsa in ospedale, ma la coronarografia non rivela un problema alle coronarie, per cui il medico esclude che sia avvenuto un attacco cardiaco. “In passato molti di questi pazienti venivano etichettati come psichiatrici: accusavano dolore, ma il medico non trovava ostruzioni alle coronarie, per cui il dolore non poteva essere provocato da angina e catalogava il paziente come stressato. Invece non è così, a volte il problema c’è ma non si vede”, spiega Filippo Crea, Docente di Cardiologia all’Università Cattolica di Roma. “Abbiamo scoperto negli ultimi anni che molte delle persone con angina non hanno ostruzioni alle coronarie. Il problema in questi casi riguarda le arterie più piccole, che possono avere vari tipi di disfunzione responsabili di una riduzione della quantità di sangue che raggiunge il cuore. Il 10% degli infarti è dovuto a un’alterazione del microcircolo, che non si vede alla coronarografia, che consente di esplorare soltanto i vasi più grossi e non i rami di diametro minore di mezzo millimetro che compongono il microcircolo coronarico. Nel caso si sospetti un infarto non evidenziato dalla coronarografia, le metodiche da utilizzare dipendono dal contesto clinico e comprendono l’eco-doppler cardiaco eseguito con mezzo di contrasto, la scintigrafia miocardica, la risonanza magnetica e la coronarografia completata da esame doppler» conclude lo specialista.