La fibrillazione atriale è il disturbo del ritmo cardiaco più diffuso in assoluto: spesso insorge con l’avanzare dell’età e si calcola che riguardi un anziano su dieci intorno agli 80 anni e una persona su 200 nella fascia d’età che va dai 50 ai 60 anni.
La malattia è caratterizzata da un battito cardiaco accelerato e irregolare che impedisce la corretta funzione di “pompa” del cuore ed espone chi ne è affetto a un alto rischio di trombosi. Il movimento scorretto e caotico del cuore di chi ha la fibrillazione atriale può infatti generare un ristagno di sangue all’interno delle cavità cardiache, dove tendono a formarsi dei coaguli che rischiano di essere poi immessi nella circolazione.
I soggetti con fibrillazione atriale hanno un rischio di ictus 5 volte superiore a quello della popolazione generale e le forme di stroke durante questa aritmia tendono ad essere molto gravi. I pazienti con fibrillazione atriale vengono sottoposti a una terapia con farmaci anticoagulanti, per proteggerli quanto più possibile dal rischio di ictus ischemico. La fluidificazione del sangue tuttavia presenta diversi inconvenienti ed espone i pazienti a un rischio più alto di emorragie e ad alcune limitazioni nella vita quotidiana per evitare l’esposizione a traumi.
Per trattare in modo innovativo questa diffusa patologia il 17 e il 18 febbraio l’Istituto di Cura Città di Pavia ha ospitato cardiologi da tutta Italia per un corso teorico e pratico, con casi in diretta dalla sala operatoria, di ablazione della fibrillazione atriale tramite crioenergia.
L’équipe guidata dal dottor Cesare Storti è stata tra le prime nel nostro Paese a utilizzare questa metodica che distrugge i tessuti cardiaci da cui origina l’aritmia cardiaca grazie all’energia del freddo, contrariamente alla tecnica “classica” che utilizza la radiofrequenza, creando delle micro bruciature sui tessuti.
Nella crioablazione un sottile catetere viene inserito nella vena femorale del paziente, fino al cuore, nell’atrio sinistro.All’interno del catetere che funge da “guida” viene fatto scorrere un piccolo palloncino gonfiabile che, una volta posizionato sui tessuti cardiaci atriali responsabili dell’aritmia, viene ghiacciato a temperature di –40°/-50° per alcuni minuti, creando una lesione che li elimina.
“Lo studio clinico internazionale “Fire and Ice”, recentemente presentato all American College of Cardiology, conferma la nostra esperienza e aumenta ulteriormente le evidenze scientifiche a favore della crioablazione. Questa tecnica è affidabile come la radiofrequenza “a caldo”, ma è un intervento che genera meno complicanze, anche nel paziente anziano,che riduce il rischio di recidive e offre ai pazienti ospedalizzazioni più brevi, con un conseguente risparmio di risorse.È importante sottolineare che i migliori risultati, in termini di successo e sicurezza, si ottengono solo in centri specializzati e con un’esperienza consolidata.” – spiega il dottor Cesare Storti, responsabile dell’unità di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione dell’Istituto di Cura Città di Pavia e direttore del Corso.