E’ una neoplasia molto aggressiva della pelle, con un’incidenza in continua crescita, che in Italia si stima presenti circa 13.800 nuovi solo nel 2016. Si tratta del melanoma cutaneo, nel nostro Paese il terzo tumore più frequente al di sotto dei 50 anni, ma che per l’opinione pubblica non rientra tra i tumori più conosciuti.
Secondo un’inedita indagine SWG condotta su un campione di 1.000 cittadini italiani, uomini e donne, infatti, solo il 28% degli intervistati ritiene di conoscere il melanoma, rispetto al 45% che si ritiene molto informato sul tumore al seno, al quale seguono le leucemie (35%), il tumore al polmone (33%) e il tumore alla prostata (33%).
Informazioni, quelle sul melanoma, reperite principalmente (72%) grazie ai media (Tv 44%; giornali e riviste 32%; internet 29%) ma anche da amici/conoscenti (39%), dal medico di famiglia o specialista (29%) e grazie a iniziative e campagne di sensibilizzazione e prevenzione (26%). La maggioranza degli intervistati ritiene comunque importante poter avere maggiori informazioni su questa patologia.
“E’ interessante vedere come 1 italiano su 3 dichiari di essere entrato in relazione con qualcuno, persona amica o conoscente, colpito da melanoma mentre la metà delle persone intervistate dichiara di saperne poco o niente – precisa Guja Tacchi, Direttore Ricerca SWG – Un dato che va ulteriormente interpretato alla luce del fatto che tra le principali cause che concorrono alla comparsa del melanoma, gli intervistati individuano nel 78% dei casi l’esposizione solare, seguita dal 63% per la presenza di nei”.
“Il melanoma rappresenta il 3% di tutti i tumori sia negli uomini sia nelle donne. Nonostante sia il tumore meno frequente tra le neoplasie della pelle, è potenzialmente il più maligno, ossia quello con maggiori probabilità di metastatizzare – afferma il Prof. Giuseppe Palmieri, Oncologo Medico, Primo Ricercatore CNR, Responsabile dell’Unità di Genetica dei Tumori del CNR di Sassari e Presidente Eletto IMI – Intergruppo Melanoma Italiano – Le modificazioni del DNA individuate in questi ultimi anni possono essere di diversi tipi e ciò rende dunque possibile affermare che, dal punto di vista genetico e biologico, i melanomi non sono tutti uguali”.
I progressi compiuti dalla ricerca scientifica, in termini di individuazione di specifiche mutazioni a carico del DNA della cellula tumorale, hanno permesso lo sviluppo di trattamenti a bersaglio molecolare che agiscano direttamente sulla mutazione specifica. Aspetti complessi, questi, che aprono interessanti sfide per il progresso della medicina e, allo stato attuale, poco chiari alla popolazione italiana. Il 59% degli intervistati, infatti, dichiara di non essere a conoscenza del fatto che alcune tipologie di tumori siano contraddistinte da questo tipo di mutazioni della cellula “malata” e il 72% non ha mai sentito parlare di terapie mirate per la cura dei tumori.
Tornando alla terapia del melanoma, l’approccio di precisione anche detto “terapia target”, in questi anni si è concentrato su alcune tipologie di mutazioni come quella a carico del gene BRAF-V600 (il 90% delle mutazioni BRAF) e del MEK, il componente della cascata molecolare immediatamente a valle di BRAF.
“Se fino ad oggi le terapie tradizionali, chemioterapia e radioterapia, hanno avuto come obiettivo il tumore, l’approccio di precisione prende a bersaglio solo le mutazioni genetiche rilevanti. La mutazione BRAF è presente in circa il 50% della popolazione affetta da melanoma metastatico e rappresenta dunque un importante bersaglio molecolare. – commenta la Prof.ssa Paola Queirolo, UOC Oncologia medica IRCCS San Martino, IST Genova e Presidente IMI, Intergruppo Melanoma Italiano – Grazie alle evidenze di efficacia e sicurezza dimostrate in importanti studi clinici, la combinazione dabrafenib + trametinib, a breve sarà rimborsabile per il trattamento di pazienti adulti con melanoma non resecabile o metastatico positivo per la mutazione di BRAF V600.
L’obiettivo delle terapie nel trattamento del melanoma metastatico è quello di rallentare la progressione della malattia, prolungando la sopravvivenza del paziente. Durante il recente Congresso ESMO (European Society for Medical Oncology) i dati dello studio Combi-v, con follow-up a 3 anni, hanno dimostrato per il trattamento di prima linea con la combinazione di dabrafenib + trametinib rispetto alla monoterapia con vemurafenib un miglioramento in termini si sopravvivenza globale – che riguarda il 45% dei pazienti rispetto al 31% trattati con vemurafenib – e di sopravvivenza libera da progressione (24%vs10%).
“Si tratta di dati clinici molto importanti che confermano una maggiore sopravvivenza a lungo termine dei pazienti con melanoma metastatico rispetto alla monoterapia con vemurafenib – conclude la Prof.ssa Paola Queirolo – A questo, si aggiungono significativi risultati in termini di durata mediana delle risposte complete, che si attesta a circa 3 anni e mezzo. Dati che rinforzano il valore di questa terapia mirata di combinazione nel trattamento di una patologia così complessa”.