“La mia malattia è invisibile – spiega il campione italiano di nuoto paralimpico Fabrizio Sottile – ma si tratta pur sempre di una disabilità. Parlare di malattie rare e disabilità è fondamentale, ma senza pietismo e buonismo all’italiana. A me è capitato anche di trovarmi di fronte a gente che non credeva che non ci vedessi e mi ha mandato a quel paese: apparentemente non ho nulla, cammino da solo, faccio un sacco di cose, e alcuni ragionano nei termini che ‘o ci vedi o non ci vedi’”.
“A volte è difficile spiegare alle persone che alcune cose le vedi ed altre no. Quando arriva la malattia ti toglie tante cose – spiega Giovanni Ansaldi, una laurea alla Bocconi, un lavoro e una famiglia con due figli – ma sta a noi poi trovare i nostri spazi, come lavoratori, genitori, compagni. Io per esempio mi sono laureato grazie a chi mi ha registrato i contenuti dei libri che non potevo leggere e oggi lavoro grazie ai tanti supporti che vengono dalla tecnologia, che oggi ci offre davvero tanto. Ormai sono 20 anni che convivo con malattia, spero sempre un giorno di poterci vedere ma nel frattempo mi sono attrezzato per fare tutto quel che posso”.
Fabrizio e Giovanni sono affetti da una rara patologia degli occhi, la neuropatia ottica di Leber, meglio conosciuta come LHON (dal suo acronimo inglese), una malattia rara di origine genetica. Sono stati loro, insieme a diversi clinici e rappresentati delle associazioni pazienti a spiegare che cosa realmente vuol dire essere ipovedenti o non vedenti, e che cosa può significare essere accusati ingiustamente di essere dei ‘falsi ciechi’, un’accusa mossa spesso a sproposito a causa di un cattivo immaginario su quella che dovrebbe essere la vita delle persone ipovedenti e su una bassa comprensione delle diverse patologie della vista. La LHON, tra le malattie rare della vista, è una delle meno note.
“La LHON è una rara forma di atrofia del nervo ottico – ha spiegato il Prof. Valerio Carelli dell’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche (ISNB), Ospedale Bellaria, dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie (DIBINEM) – Università di Bologna. Immaginiamo il nervo ottico come un cavo elettrico con dentro un milione e 200 mila fili che trasmettono le immagini dal centro della retina al cervello. Nelle persone che sviluppano la LHON queste fibre nervose, i fili, degenerano progressivamente fino a morire del tutto. Dopo alcuni mesi rimangono a questi pazienti sono qualche migliaio di questi fili: ci sono pazienti con una degenerazione più grave che sono quasi del tutto ciechi e vedono solo luci ed ombre ed altri che non vedono ciò che si trova davanti a loro, al centro del campo visivo, ma che mantengono la visione del campo periferico.”
Per questi pazienti non esiste al momento una cura risolutiva. “Oggi però possiamo cercare di arginare la fase attiva di degenerazione e dunque la perdita definitiva di queste cellule confarmaci antiossidanti quali l’Idebenone, unico farmaco con indicazione specifica per la LHON. L’obiettivo è cercare di conservare una percentuale di fibre più elevata di quello che avverrebbe in assenza di trattamento. Se si evita che degenerino del tutto, e quindi vadano perse, è poi possibile che, passata la fase acuta e dunque dopo 6-12 mesi dall’esordio, le fibre rimaste, che prima erano diventate ‘mute’ e quindi non trasmettevano più impulsi, riprendano a funzionare portando quindi ad un grado variabile di recupero. In tal senso prima si inizia la terapia e meglio è per arginare la perdita. Per il futuro la prospettiva è quella di poter usare anche la terapia genica.”
“Chi è colpito dalla LHON vede all’improvviso una macchia bianca o nera al centro del campo visivo – spiega invece il Dr. Piero Barboni, Consultant neuro-ophthalmologist, IRCCS San Raffaele Milano e studio oculistico D’Azeglio (Bologna) – All’inizio questa può creare un problema solo nel vedere i dettagli ma in poco tempo la macchia si allarga e la visione peggiora lasciando solo una capacità residua di riconoscere i contorni. In genere si arriva al periodo peggiore dopo 3 – 6 mesi dall’insorgenza. In questa fase si può arrivare alla cecità legale, con impossibilità di leggere, scrivere, guardare la tv, guidare, riconoscere le persone a meno che non si sia molto vicini: questo non vuol dire però che le persone con LHON vedano ‘tutto nero o tutto bianco’. A volte dopo un anno o due è possibile che si registri un miglioramento, ma in genere non c’è mai un recupero completo: il paziente riuscirà ad uscire da solo, fare la spesa, trovare gli oggetti di cui ha bisogno, ma a fatica riuscirà a leggere, scrivere, seguire delle lezioni alla lavagna. E’ evidente dunque come la malattia sia molto invalidante, anche perché, soprattutto nei maschi, si presenta nel pieno della vita.”
Le diagnosi si contano ogni anno sulle dita di una mano, mediamente 3 o al massimo 4 all’anno.
“Essendo una malattia così rara sono in pochi a conoscerla e l’inquadramento diagnostico è difficoltoso – spiega la Dr.ssa Anna Maria De Negri, specialista della UOC Oculistica dell’Ospedale San Camillo di Roma – Non a caso quando le persone affette da LHON arrivano da noi, spesso sono già state da uno o più oculisti e/o dal neurologo ed è passato un po’ di tempo rispetto al momento dell’esordio. In questa prima fase i colleghi si accorgono che c’è qualche cosa che non va nel nervo ottico ma non pensano alla LHON. Nella maggior parte dei casi quando li mandano qui la perdita di vista interessa già entrambi gli occhi. Alcuni arrivano un po’ prima perché la malattia si presenta in forma particolarmente acuta e allora vengono direttamente al pronto soccorso. Le ripercussioni sulla vita quotidiana sono di difficile gestione per tutti, le differenze spesso dipendono dall’età del paziente e dal tipo di attività condotta.”
I pazienti LHON possono essere gravemente ipovedenti o anche ‘ciechi legali’, ma spesso hanno difficoltà nel farsi riconoscere l’invalidità e le relative esenzioni ed indennità di cui hanno diritto.