Il Male oscuro e’ la più diffusa malattia al mondo e secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’ solo nel 2015 la depressione ha interessato 350 milioni di persone, più dell’intera popolazione degli Stati Uniti (che conta 321 milioni di abitanti) o di Brasile e Messico messi insieme (226 milioni e 127 milioni, rispettivamente). Ogni anno, inoltre, circa un1 milione di persone si toglie la vita a causa sulla depressione.
Per questo motivo la Pontificia Accademia delle Scienze lavora alla diffusione delle conoscenze che possano migliorare il progresso scientifico e la vita delle persone. Se ne e’ parlato alla recente Conferenza Internazionale dal titolo “Depression: State of the Art 2016” alla Casina Pio IV all’interno della Città del Vaticano, che ha fatto il punto sui recenti progressi sia in termini di comprensione della patogenesi della malattia che della presentazione clinica nelle varie forme e intensità, e sulle terapie attualmente disponibili.
Alla più famosa serotonina si sono affiancati, reclamando lo status di ‘co-protagonisti’ altri neuropeptidi come norepinefrina (NE), dopamina (DA), glutammato e altri fattori neutrofici di derivazione cerebrale (BDNF).
Molte sono le forme di questo disturbo, che può variare anche per numero dei sintomi, severità, tipo e durata, variabili che lo rendono particolarmente complesso da trattare ma anche da diagnosticare. Fino ad arrivare alle forme segnalate in Giappone che sembrano individuare una ‘depressione moderna’ tipica della popolazione giovanile, segnalata già dal 2000 e in attesa di un riconoscimento da parte della comunità scientifica.
La nota dolente e’ il fatto che due malati su tre non si curano. I due terzi dei pazienti, infatti, non sono consapevoli di avere un disturbo trattabile e quindi non cercano aiuto e non ricevono alcun trattamento con il rischio di fare il proprio ingresso nella spirale della cronicità. Semplicemente, queste persone vivono in una condizione di disagio, di sofferenza costante ma non immediatamente riconoscibile. D’altra parte i segni delle forme lievi e moderate possono essere sfumati, graduali, non immediatamente riconoscibili se non da un medico esperto. Lievi flessioni dell’umore, irritabilità, perdita del piacere di fare le cose, disturbi del sonno e dell’appetito, della memoria e dell’attenzione. E’ come se la vita perdesse sapore, come se tra la persona depressa e la propria esistenza calasse un velo, un filtro opaco che rende meno nitide esperienze ed emozioni. Una condizione che porta con se anche disturbi somatici: mal di testa, fatica, disturbi digestivi i più frequenti. Sino a vere e proprie comorbidità ossia malattie correlate.
La patologia colpisce in maniera rilevante la popolazione anziana: troppo spesso, infatti, la depressione viene considerata una condizione ‘normale’ della terza età, periodo della vita che guarda al tramonto dell’esistenza in cui un ripiegamento su se stessi e un declino cognitivo più o meno importante viene sottovalutato anche dai sanitari. Al contrario, la depressione non è affatto una condizione inevitabile. Eppure il 15% degli anziani mostra sintomi depressivi di varia entità e quelli con un disturbo ‘maggiore’ arriva al 3% della popolazione portando con sé un corollario di patologie importanti con un detrimento complessivo della qualità della vita di queste persone che invece potrebbero essere curate efficacemente.
La comorbidità della depressione con altri disturbi ha numeri precisi, le persone anziane con depressione sono più spesso bersaglio di infarto (succede dal 30 al 60%), malattie coronariche (sino al 44% dei soggetti), cancro (sino al 40%) ma anche una caduta verticale verso le forme di demenza, l’Alzheimer e la Malattia di Parkinson (circa il 40%). Nonostante lo scenario desolante ancora troppo spesso una flessione dell’umore prolungata negli anziani non viene rilevata ma associata a quel decadimento mentale che si considera – a torto – fisiologico. Valutazione complicata da alcuni segni cognitivi della depressione delle persone più adulte che vede una compromissione di memoria, concentrazione e attenzione e che possono essere efficacemente trattati da terapie ad hoc. Anche per evitare situazioni di ricovero, lungodegenza e mortalità precoce dovute proprio al mancato trattamento. Gli anziani infatti si tolgono la vita in misura doppia rispetto ai pazienti giovani.