Ormone della crescita: la continuità nelle cure e le scelte del medico principi irrinunciabili

Il nome scientifico è somatotropina, ma è conosciuto come ormone della crescita (GH), e viene impiegata come trattamento di patologie croniche e rare caratterizzate da problemi di accrescimento, così come di altre sindromi genetiche: i pazienti sono prevalentemente bambini e ragazzi, le fasce di età più vulnerabili, che hanno bisogno di cure adeguate e di attenzioni particolari sia per quanto riguarda la crescita fisica che quella psicologica.

Tale trattamento viene utilizzato come sostitutivo nei casi di deficit congenito o acquisito dell’ormone ipofisario, e non solo: alla prima somatotropina ricombinante umana, approvata nel 1985, si sono aggiunti altri sei preparati ricombinanti a cui, a partire dal 2003, ha fatto seguito l’introduzione del primo biosimilare.

 Tra le molte differenze che caratterizzano le prestazioni dei diversi sistemi sanitari regionali, quelle che riguardano il trattamento del deficit di accrescimento e altre sindromi genetiche, si traducono spesso in un serio problema di sanità pubblica.

L’ormone della crescita (GH), infatti, viene prevalentemente utilizzato come sostitutivo nei casi di deficit congenito dell’ormone ipofisario e la sua disponibilità per i pazienti è spesso condizionata dall’orientamento prescrittivo dei medici che, in alcuni casi, deve sottostare a logiche di contenimento dei costi che impongono l’improvviso passaggio da un farmaco ad un altro. Una situazione, questa, che genera tra le regioni disomogeneità assistenziali non tollerabili e sulla quale la rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IHPB) ha sollevato il problema, a fianco di AFaDOC, coinvolgendo numerosi esponenti della comunità medico-scientifica – endocrinologi e pediatri – portando alla pubblicazione di un Manifesto Sociale. 

Posso confermare che le cause sono essenzialmente di carattere economico, determinate dalle decisioni assunte nelle gare di acquisto dei farmaci– spiega Cinzia Sacchetti, Presidente AFaDOC,  Associazione Famiglie di Soggetti con Deficit dell’Ormone della Crescita e altre Patologie Rare-Gli endocrinologi pediatri hanno un’ampia conoscenza di tutte le diverse tipologie di prodotti e, per quanto mi risulta, da parte loro non vi sarebbe alcuna difficoltà ad andare incontro alle attese o alle preferenze dei loro pazienti ma sono limitati nelle loro scelte dai vincoli posti dalle logiche di acquisto. Questo è il vero problema. La sostituzione improvvisa della terapia per fortuna non è così frequente ma quando si verifica genera problemi molto seri per i pazienti e per le loro famiglie. Accade sporadicamente e sempre a causa di direttive che vengono “dall’alto” e alle quali i medici si devono attenere”.

Come sottolinea la Prof.ssa Annamaria Colao, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia – l’autonomia del medico, centrata sull’appropriatezza, non deve mai essere condizionata o messa in discussione, specie in un ambito così delicato e complesso come quello del contrasto al deficit di crescita nel quale è opportuno applicare i principi della medicina di precisione che, per sua natura, deve essere personalizzata. Non è accettabile che un medico si veda costretto a sostituire all’improvviso una terapia che ha fin qui dimostrato di funzionare”.

Nel Manifesto Sociale medici e pazienti chiedono che si affermino logiche di politica sanitaria nelle quali agli specialisti sia riconosciuto il diritto di perseguire al massimo livello possibile l’appropriatezza nelle scelte terapeutiche, che deriva proprio dalla loro conoscenza, dei farmaci e dei device – gli strumenti con i quali i farmaci sono somministrati – ma soprattutto dalla conoscenza dei pazienti, delle loro famiglie e delle loro specifiche condizioni di salute e di vita.

E’ chiaro che il problema dei costi va tenuto nella massima considerazione- puntualizza la Prof.ssa Mariacarolina Salerno, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia Pediatrica- Se, da un lato, sforzi per un contenimento dei costi è giusto siano fatti, occorre anche intervenire sul fronte degli sprechi: ad esempio, somministrando quantità di farmaco giuste e utilizzando totalmente la fiala del prodotto; così facendo ritengo che i costi, almeno per quanto riguarda l’ormone della crescita, si possano tenere meglio sotto controllo. Sempre in tema di costi però credo occorra anche tenere in considerazione anche il rapporto costo-beneficio della terapia: se, ad esempio, si somministra un farmaco che costa meno ma il bambino non fa la terapia come dovrebbe è chiaro che tale rapporto non è certo soddisfacente. Va detto poi che, in questo senso, l’attenzione deve essere posta anche alla scelta del device di somministrazione che deve essere più accattivante per il bambino e di più semplice impiego anche per i familiari: un fattore, questo, che incide molto positivamente sul rapporto cost-beneficio della terapia”.

Proprio in relazione al tema degli strumenti di somministrazione di questi farmaci, che possono variare da prodotto a prodotto e il cui impiego richiede una certa dimestichezza, la Prof.ssa Mariacarolina Salerno, aggiunge che “oltre al farmaco, occorre prestare grande attenzione al device che deve essere scelto sulla base delle preferenze e dell’orientamento di chi deve utilizzarlo. Va detto poi che questi dispositivi possono avere anche un ruolo molto incentivante verso la terapia favorendo quindi l’aderenza terapeutica: occorre però tener conto della tipologia dei destinatari delle terapie  cioè dei bambini o soprattutto degli adolescenti che, in alcuni casi, possono essere più evoluti ma anche di soggetti o di famiglie che hanno più confidenza con metodiche iniettive più tradizionali. È chiaro comunque che, pur nel rispetto delle logiche economiche cui i servizi sanitari sono tenuti, va tutelata la libertà prescrittiva del medico e che andrebbe fatto ogni sforzo per perseguire una sorta di “armonia assistenziale” sul territorio”.

E’ fondamentale, dunque, che si instauri “un dialogo più costruttivo tra regioni, comunità medico-scientifica e pazienti – rivendica Teresa Petrangolini, Direttrice del Patient Advocacy Lab dell’Alta Scuola di Economia e Management Sanitari dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica di Roma – “un tempo nel quale la libertà prescrittiva del medico sia maggiormente garantita e la voce dei pazienti più ascoltata. In proposito, credo che debbano essere replicate alcune esperienze positive come quella della Regione Lazio dove spesso le associazioni dei pazienti hanno potuto far sentire la propria voce in sede di impostazione di alcune gare di acquisto”.

Inoltre, da più parti si auspica che le associazioni dei pazienti possano essere coinvolte in sede di gare di acquisto per poter far sentire la propria voce e tutelare la continuità terapeutica. “Per quanto riguarda AFaDOC posso dire che si tratta ancora solo di una speranza – conclude Cinzia Sacchetti- . Forse questo accade per patologie più severe di quelle di cui ci occupiamo noi. Sarebbe di estrema importanza che un’associazione come AFaDOC potesse dialogare con i decisori perché molto spesso essi non hanno una conoscenza completa delle problematiche che caratterizzano queste patologie, la vita dei pazienti e, molto spesso, anche delle loro famiglie e assumono decisioni solo sulla base di considerazioni di carattere economico”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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