Ma le gambe, ma le gambe ….. prevenzione e terapia dei disturbi più diffusi

Le gambe. Croce e delizia delle donne, ma non solo. Si pensa e si guarda all’estetica, il più delle volte, ma si trascurano i disturbi che le affliggono. Salvo pensarci quando affiorano (è il caso di dirlo) degli inestetismi, come le vene, che poi inestetismi non sono affatto. E dei sintomi specifici, che non vanno sottovalutati: Gambe pesanti, Dolore, Sensazione di gonfiore, Crampi, Sensazione di calore. 

La presenza di uno o più di questi sintomi deve far porre l’attenzione verso la MVC, ossia la Malattia venosa Cronica, anche se non sono presenti alterazioni visibili delle gambe o della circolazione venosa, poiché essi possono rappresentare il primo stadio della malattia. È importante quindi chiedere consiglio tempestivamente al medico o al farmacista.

La MVC è una delle malattie più diffuse in Occidente e nel nostro Paese colpisce circa 19 milioni di persone. Nello specifico interessa dal 10 al 50% degli uomini e oltre la metà delle donne. Questa patologia, che interessa la circolazione venosa, è caratterizzata da un alterato ritorno del sangue dalla periferia al cuore. Spesso banalizzata e limitata ad un semplice disturbo estetico delle gambe, in realtà è una condizione ben più complessa, cronica ed ingravescente, che tende a progredire velocemente verso stadi più avanzati, se non trattata correttamente.

“In condizioni normali lo spostamento del sangue dagli arti inferiori verso il cuore avviene grazie alla pressione esercitata dai muscoli delle gambe e dall’arcata plantare, con un flusso unidirezionale assicurato dalle valvole venose. Quando questo processo viene alterato, il sangue refluisce attraverso i lembi valvolari provocando la dilatazione delle vene sostenuto da un processo infiammatorio cronico – dichiara Alberto Froio, Professore Associato di Chirurgia Vascolare, Università degli Studi di Milano-Bicocca Fondazione IRCSS – San Gerardo dei Tintori, Monza– Nelle sue forme più severe la MVC può provocare gravi complicanze come edema, pigmentazione della pelle, eczema fino alla comparsa di ulcere e trombosi venosa”.

Recentemente pubblicato sull’European Heart Journal, lo studio Gutenberg ha indagato, per la prima volta in una popolazione generale, la prevalenza dell’Insufficienza Venosa Cronica – stadio avanzato della MVC – e l’associazione tra questa e le comorbidità cardiovascolari (CV), dimostrando che all’aumentare della gravità della MVC è associato un aumentato rischio cardiovascolare, così come un aumento della mortalità da tutte le cause.

“Le evidenze scientifiche rimettono in discussione il pensiero convenzionale sulla separazione tra malattia venosa e arteriosa. L’osservazione delle gambe è fondamentale per diagnosticare la MVC ma la presenza di vene varicose, edema, cambiamenti della pelle e ulcere devono essere considerate un potenziale campanello d’allarme di malattia cardiovascolare – spiega Romeo Martini, Presidente Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare – Ancora oggi, infatti, il paziente con MVC viene avviato ad un percorso diagnostico-terapeutico (PDTA) limitato alla sola patologia degli arti inferiori. Sarebbe tempo che si definissero PDTA prendendo in considerazione i suggerimenti dello studio Gutenberg, vale a dire, prevedere ulteriori e semplici screening vascolari per i pazienti con MVC negli stadi più avanzati. Un’anamnesi sulla familiarità per malattie cardiovascolari, la palpazione dei polsi arteriosi, la misura dell’indice pressorio caviglia/braccio e il dosaggio del colesterolo LDL possono essere facilmente eseguiti sul paziente con MVC evidenziando coloro a più elevato rischio cardiovascolare”.

I pazienti con MVC, infatti, possono andare incontro a importanti complicanze cardiovascolari, che confermano il legame fisiopatologico tra le due patologie.

“Il collegamento è dato principalmente dal fatto che le due patologie condividono alcuni fattori di rischio come l’età, il fumo, il diabete mellito, l’obesità e il sovrappeso, che si associano ad una disfunzione dell’endotelio, un’infiammazione cronica e una trombosi che è dovuta al lento flusso e alla conseguente ipercoagulabilità che costituiscono le basi fisiopatologiche di entrambe le patologie” –spiega Leonardo De Luca, Segretario generale ANMCO e cardiologo presso la U.O.C. di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma.

A confermare la correlazione tra la MVC e le patologie cardiovascolari anche un altro importante dato emerso dallo studio, che dimostra per la prima volta che la MVC è in realtà un importante marker predittore di patologie cardiovascolari come infarto e ictus.

Lo studio Gutenberg ha dimostrato che le persone con MVC nelle fasi più avanzate hanno un rischio maggiore di sviluppare negli anni una malattia cardiovascolare di tipo arterioso e hanno anche una mortalità per tutte le cause, rispetto alle persone che non ne soffrono – dichiara Roberto Pola, Segretario Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare – Un’ipotesi che si sta facendo strada nella comunità scientifica presuppone che sia l’infiammazione cronica il meccanismo biologico sottostante a queste due patologie. Infatti, nella patologia aterosclerotica, che è alla base dell’infarto e dell’ictus, si riscontra un importante contributo infiammatorio e d’altro canto anche nella malattia venosa cronica si osserva un’aumentata produzione di molecole infiammatorie”.

Dallo studio Gutenberg emerge con chiarezza l’importanza di un cambio di rotta e di un nuovo approccio alla MVC, in particolare negli stadi avanzati, che comporti un cambiamento nella pratica clinica da parte della classe medica, in particolare in fase di indagini diagnostiche, al fine di poter approfondire la problematica nella sua globalità.

“Questa è quella che si definisce visione olistica del paziente, vale a dire farsi carico di tutte le sue problematiche e considerare la possibilità che esistano interazioni a distanza fra patologie apparentemente non collegate tra loro – conclude Claudio Borghi, Direttore UO Medicina Interna Cardiovascolare Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche-Università di Bologna – Negli ultimi 20 anni, nell’ambito delle malattie cardiovascolari, questo approccio ha fatto emergere anche altre condizioni, apparentemente distaccate dal funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio, che sono invece in grado di condizionare lo sviluppo delle malattie cardiovascolari stesse e fanno sì che oggi l’approccio a queste malattie non possa più essere focalizzato solo su un prevalente fattore di rischio, ma debba valutare ogni singolo paziente nella sua complessità. In questo senso tutti i professionisti sanitari dovrebbero collaborare in maniera multidisciplinare per definire percorsi diagnostico-terapeutici in grado di gestire al meglio il paziente”.

Per un’adeguata gestione della MVC, sintomi e segni della malattia non devono essere trascurati ma trattati tempestivamente e con la corretta terapia. Il ricorso al contenimento elastico è in grado di fornire una compressione esterna alla gamba e di ridurre il reflusso venoso. L’impiego di calze elastiche a compressione graduata, soprattutto quando si sta a lungo seduti o in piedi, può indurre un significativo miglioramento dei sintomi e prevenire il gonfiore ed è dunque fondamentale per un adeguato controllo della malattia.

La terapia farmacologica prevede il ricorso a farmaci venotropi, un gruppo eterogeneo di farmaci di origine vegetale o sintetica, tra cui hanno un particolare rilievo i flavonoidi (gamma-benzopironi), farmaci con frazione flavonoica purificata micronizzata: questa formulazione è composta da diosmina e altri flavonoidi espressi in esperidina. La riduzione delle dimensioni delle particelle ottenuta con il processo di micronizzazione migliora l’entità dell’assorbimento, e di conseguenza l’efficacia clinica. I farmaci venotropi vantano diverse proprietà farmacologiche: migliorano il tono della parete venosa, agiscono sul tono della parete vascolare e sul microcircolo capillare e linfatico ed esercitano effetti antinfiammatori. In particolare, i flavonoidi hanno anche importanti proprietà antiossidanti, come la riduzione dello stress ossidativo, rinforzando e integrando le capacità antiossidanti dell’organismo e della cellula.

Accanto ai trattamenti conservativi, che devono essere utilizzati in tutti gli stadi della malattia, nei casi di patologia avanzata con presenza di teleangectasie o varici, esistono oggi molte forme di interventi chirurgici che consentono la correzione del difetto venoso specifico.

Lo scopo della chirurgia è la risoluzione del reflusso patologico e/o la bonifica dell’ulcera a scopo sintomatologico, preventivo o terapeutico del quadro clinico in atto e delle possibili complicanze. La chirurgia ablativa comprende gli interventi di safenectomia per stripping, la crossectomia e la flebectomia.

Una revisione di Cochrane ha confermato che i trattamenti eco-guidati endovascolari con laser o radiofrequenza o la scleroterapia eco-guidata con schiuma (scleromousse) sono efficaci quanto la chirurgia nel trattamento delle grandi vene varicose safeniche.

Il meccanismo fisico con cui viene prodotto il danno termico della parete venosa è differente per il laser e la radiofrequenza, ma nelle due procedure sono molti gli elementi in comune: sono procedure endovascolari e agiscono determinando un danno termico della parete venosa, che innesca il processo di flogosi parietale e quindi di sclerosi della vena trattata; sono procedure eco-guidate e mini-invasive che possono essere eseguite in anestesia locale, risultando molto adatte a un trattamento realmente ambulatoriale; il tasso di complicanze maggiori è modesto e i risultati a distanza sono ottimali, con un tasso di occlusione del tronco safenico a 6 anni di follow-up molto alto; il decorso post-operatorio è poco doloroso, pertanto consente un’efficace e rapida ripresa delle attività personali, sociali e lavorative. Infine, determinano un miglioramento sia dei sintomi causati dalle varici sia della qualità di vita.

Nell’80-90% dei casi, la scleroterapia eco-guidata con schiuma può efficacemente sostituire la tradizionale tecnica chirurgica, in assenza di rischio chirurgico e di anestesia. Tale tecnica viene attuata ambulatorialmente ed è praticata da diversi anni in tutta Europa con ottimi risultati. La facilità di esecuzione presso l’ambulatorio medico, l’ottima efficacia del trattamento e la rapidità della procedura consentono di non interrompere la normale attività lavorativa e garantiscono una completa autonomia di gestione. Dopo il trattamento, il medico effettua un bendaggio elastico aderente compressivo che deve essere mantenuto per 48 ore. La compressione elastica riduce la reazione infiammatoria e si rende indispensabile per 48 ore. In generale, non si rileva alcun rischio, non ci sono limiti d’età e nelle persone anziane la scleromousse risolve fastidi e disagi quotidiani. La terapia si può effettuare anche nei pazienti in terapia con anticoagulanti.

Solo in rari casi non si può effettuare la procedura di scleromousse come, per esempio, nelle donne in gravidanza, nei soggetti con allergie conosciute ai prodotti sclerosanti e nei casi di esposizione ai raggi del sole in un periodo precedente alla terapia con scleromousse.

 

 

 

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