Dolore, affaticamento, depressione e ansia. Sono i sintomi fisici e psicologici debilitanti dell’artrite psoriasica (PsA), una malattia infiammatoria cronica che si sviluppa quando il sistema immunitario attacca i tessuti e le cellule sane e che coinvolge la cute, le articolazioni e i tendini. In Italia si stima siano oltre 300.000 le persone che convivono con questa patologia, con un impatto significativo sulla qualità di vita. Una malattia progressiva e debilitante, che si manifesta in un paziente con psoriasi su tre, ancora oggi sotto diagnosticata e con diverse esigenze mediche insoddisfatte: scarseggiano infatti alternative soddisfacenti per i pazienti intolleranti o non rispondenti ai DMARD (farmaci antireumatici modificanti la malattia) o agli inibitori TNF.
Oggi, però, per i pazienti con artrite psoriasica c’è una nuova opportunità terapeutica: si chiama Xeljanz® (tofacitinib citrato) di Pfizer, ed è il primo farmaco orale inibitore delle Janus-chinasi (JAK) approvato e rimborsato per i pazienti con artrite psoriasica (il trattamento con tofacitinib citrato a carico del SSN è limitato a pazienti adulti con artrite psoriasica attiva con prevalente impegno periferico e con poliartrite o mono/oligo-artrite, che hanno fallito il trattamento precedente con csDMARD e bDMARD e che presentano malattia attiva nonostante il trattamento con almeno due farmaci biologici). Tofacitinib è indicato, in associazione con metotrexate, in pazienti adulti con artrite psoriasica in fase attiva da moderata a severa. Tofacitinib citrato, già disponibile in Italia per il trattamento dell’artrite reumatoide e della colite ulcerosa, è il JAK-inibitore con il maggior numero di indicazioni approvate.
“Tofacitinib viene utilizzato ormai da molti anni: è il primo, l’antesignano di questa classe di farmaci JAK-inibitori”, dichiara Francesco Ciccia, Professore Ordinario di Reumatologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Reumatologia, Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. “I plus di tofacitinib sono la modalità di somministrazione orale e il meccanismo d’azione, che blocca contemporaneamente più citochine coinvolte nel segnale infiammatorio. Dal punto di vista clinico, i risultati nel trattamento dell’artrite psoriasica sono ottimi, con un miglioramento dell’infiammazione articolare, una riduzione del numero di articolazioni gonfie e dolenti e soprattutto con un effetto imponente sulla componente dolorosa, in quanto agisce modulando in senso negativo il segnale nocicettivo, per cui il paziente riferisce un benessere rapido già dopo le prime settimane di somministrazione, con una riduzione della quota dolore veramente importante. Abbiamo a disposizione una nuova arma per curare i nostri pazienti, molti dei quali fino a oggi rimanevano comunque ‘attivi’ nonostante i nostri sforzi terapeutici. Tofacitinib è un farmaco diverso rispetto a quelli fino a oggi approvati e rappresenta una opportunità in più per i pazienti di raggiungere una remissione dei sintomi articolari e una buona qualità di vita”.
I dati di uno studio durato quattro anni – L’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità di tofacitinib nei pazienti con artrite psoriasica attiva sono stati dimostrati nello studio clinico di estensione a lungo termine di 36 mesi, ampliato a 48 mesi, OPAL Balance (pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet nel 2021). Lo studio è stato condotto in 124 Centri in 16 Paesi, con pazienti che avevano partecipato agli studi di fase III OPAL Broaden e OPAL Beyond. Tofacitinib è stato somministrato alla dose di 5 milligrammi due volte al giorno. I risultati dell’analisi finale dello studio di estensione a lungo termine OPAL Balance mostrano che il profilo di sicurezza a lungo termine (fino a 4 anni) di tofacitinib nell’artrite psoriasica è coerente con quello degli studi di fase 3 e che l’efficacia è stata mantenuta per oltre 3 anni di follow-up tra i pazienti rimasti nello studio, a sostegno dell’uso di tofacitinib per il trattamento a lungo termine dell’artrite psoriasica attiva.
Tanti i sintomi della PsA- L’artrite psoriasica è una patologia eterogenea, che può presentarsi in diverse manifestazioni cliniche, tra cui artrite periferica, entesite (infiammazione del segmento di tendine o di legamento che s’inserisce sull’osso), dattilite (gonfiore di uno o più dita di mani e piedi causato da un’infiammazione sottostante), spondilite e psoriasi con coinvolgimento di pelle e unghia. È caratterizzata da dolore, rigidità, gonfiore delle articolazioni che possono colpire l’intero corpo e, se non trattata, può causare danni permanenti alle articolazioni e ai tessuti. Nel 20% delle persone con artrite psoriasica si osserva una disabilità funzionale e, dopo 10 anni, il 55% dei pazienti sviluppa una deformazione in cinque o più articolazioni. Con la progressione della malattia, l’impatto che l’artrite psoriasica può avere sulla qualità di vita correlata alla salute (HRQoL) dei pazienti è ritenuto simile a quello del diabete, di una cardiopatia e del cancro.
L’importanza di una diagnosi precoce – La diagnosi precoce è fondamentale per rallentare la progressione della malattia, lo sviluppo di eventuali comorbidità e il peggioramento della qualità di vita dei pazienti, come per le altre patologie croniche infiammatorie. L’artrite psoriasica risulta ancora oggi, però, spesso sotto diagnosticata. “La diagnosi precoce e un trattamento tempestivo sono fondamentali per ridurre o addirittura impedire che l’artrite psoriasica progredisca verso complicanze a lungo termine”, spiega Roberto Caporali, Professore ordinario di Reumatologia Università degli Studi di Milano, Direttore Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche ASST ‘Gaetano Pini’ – CTO di Milano –. “Tuttavia, ancora oggi si osserva una sottodiagnosi, per diversi motivi. In primo luogo, è solo da poco tempo che in alcuni Centri esiste una stretta collaborazione tra dermatologo e reumatologo, che è essenziale per semplificare l’identificazione precoce di quei pazienti che hanno un’artrite in fase iniziale. In secondo luogo, è spesso difficile da parte del paziente e del medico di medicina generale capire qual è lo specialista di riferimento. Succede infatti spesso che i pazienti vengano inviati a specialisti diversi dal reumatologo. Gli stessi reumatologi, in terzo luogo, dovrebbero essere in grado di creare dei percorsi dedicati a questi pazienti con forme precoci, che dovrebbero essere visti subito evitando inutili liste d’attesa che potrebbero ritardare la diagnosi”.
L’inibizione delle JAK rappresenta una risorsa importante per lo sviluppo di nuove opzioni di trattamento avanzate per le malattie auto-immuni, in quanto le Janus-chinasi sono coinvolte nella segnalazione di oltre 50 citochine, molte delle quali determinano condizioni infiammatorie immuno-mediate. Pfizer è stata la prima azienda a dedicarsi allo studio del ruolo svolto dagli inibitori JAK all’interno dei processi infiammatori, attraverso un intenso programma di studi clinici per il trattamento delle condizioni infiammatorie immuno-mediate, tutt’oggi in corso. “La nostra scienza oggi è strettamente integrata in tutti gli aspetti del nostro lavoro e questo ci permette di avere un approccio nuovo, più aperto alle collaborazioni, più focalizzato sugli obiettivi”, dichiara Francesca Cozzolino, Direttore Inflammation&Immunology di Pfizer in Italia, “e a nostro parere più efficace per rispondere ai bisogni dei pazienti. Abbiamo concentrato i nostri sforzi in aree dove riteniamo di poter dare un contributo unico e di rispondere a importanti bisogni, come le malattie infiammatorie croniche autoimmuni e, questa nuova indicazione, ne è sicuramente un esempio”.