Il tumore della prostata è il più frequente dei tumori maschili; la sua incidenza aumenta con l’età, ma, contrariamente a quanto si crede, non è solo un tumore dell’anziano perché colpisce anche uomini in età produttiva.
Il tumore della prostata è il più diffuso tra gli uomini, rappresenta il 19,8% di tutti i tumori maschili, con 564 mila pazienti registrati e circa 40.500 nuovi casi per anno (Fonte “I numeri del cancro in Italia 2022), 7.200 decessi e oltre il 91% di tasso di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi. La sua incidenza aumenta con l’avanzare dell’età, ma non è una “malattia dell’anziano”, perché colpisce anche uomini in età produttiva. Si calcola che ogni italiano con più di 65 anni abbia circa il 3% di probabilità di morire a causa di questa patologia. Stime italiane riportano che almeno 7 milioni di uomini sopra i 55 anni di età potenzialmente potranno ricevere nel corso della loro vita una diagnosi di cancro della prostata.
Fatta la diagnosi, i trattamenti attivi – chirurgia, radioterapia, chemioterapia e terapia ormonale – impattano, in modo diverso e più o meno significativo, sulla qualità di vita.
È quanto emerge dallo studio EUPROMS (Europa Uomo Patient Report Outcome Study), promosso da Europa Uomo, condotto in 32 Paesi, su circa 5.500 individui di età media sui 70 anni, primo grande studio in assoluto realizzato dagli stessi pazienti per i pazienti, che ha voluto indagare la qualità della vita dopo i trattamenti di chi è colpito da carcinoma prostatico.
In evidenza, tra i diversi aspetti, i disturbi della sfera sessuale e psicologica e il dominio urinario. Tre le principali azioni chiave emerse: rendere accessibile la diagnosi precoce a tutta la popolazione a rischio, tramite programmi di screening organizzati; ampliare l’offerta della sorveglianza attiva, ove sia possibile attuarla, nei casi di malattia a basso rischio, come primo trattamento; promuovere la diffusione di centri di cura specializzati e multidisciplinari, dotati della necessaria expertise, cruciale per una presa in carico globale del paziente con tumore della prostata.
«Si parla troppo poco di tumore della prostata, mentre i dati AIOM registrano una crescita dei casi e quel che preoccupa ancora di più è che il SSN non preveda per questa neoplasia alcun programma di screening – avverte Maria Laura De Cristofaro, Presidente Europa Uomo Italia – Per questo la survey EUPROMS assume un valore importante. Ne emerge per la prima volta un racconto collettivo degli uomini che hanno ricevuto una diagnosi di tumore prostatico e che rispecchia il loro vissuto dopo i trattamenti. Dall’indagine emerge l’importanza della diagnosi precoce tanto più cruciale dal momento che il tumore della prostata non dà segni di sé in fase iniziale; la necessità di potenziare percorsi diagnostico-terapeutici definiti attraverso la realizzazione delle Prostate Unit al cui interno opera il team multidisciplinare, il solo che può garantire qualità delle cure, evitare trattamenti inadeguati e assicurare una migliore qualità della vita, oltre al supporto psicologico. Dallo studio emerge, inoltre, come la sorveglianza attiva (piano sistematico di controlli a intervalli definiti per il tumore della prostata a basso rischio) sia l’approccio che preserva al meglio la qualità di vita dei pazienti. I risultati di EUPROMS hanno spinto le Istituzioni verso una iniziativa storica: raccomandare a livello europeo programmi di screening, che in qualche Paese si stanno già sperimentando (PRAISE-U). Europa Uomo Italia intende portare avanti da oggi una serie di azioni atte a costruire un rapporto continuo con le Istituzioni nazionali e regionali. Invieremo una lettera aperta alla Presidenza del Consiglio e chiederemo di istituire la Giornata Nazionale del Tumore della Prostata, perché si continui a parlare di salute maschile».
I dati EUPROMS evidenziano che un approccio di “sorveglianza attiva” è quello che comporta minori conseguenze in termini di qualità della vita e di esito funzionale rispetto ad un approccio attivo (chirurgia, radioterapia, chemioterapia, terapia ormonale). Tuttavia, la sorveglianza attiva può essere attuata solo in casi specifici con malattia minima. D’altra parte, questo approccio sembra comportare per i pazienti un maggior livello di ansia/depressione rispetto alla quasi totale assenza di sintomi ansiosi/depressivi in seguito ai trattamenti attivi, un dato che può essere facilmente interpretato come la difficoltà psicologica a convivere con un tumore da parte del paziente. La sorveglianza attiva è l’approccio che assicura la migliore funzione sessuale, rispetto alla quale un paziente su due riferisce che dopo i trattamenti attivi i disturbi sessuali rappresentano un problema da moderato a grave. La prostatectomia radicale è l’approccio che interferisce peggio sulla continenza e sulla funzione sessuale, specie se è associata a radioterapia, che provoca come riferiscono i pazienti maggiori disagi anche a livello intestinale e vescicale. Gli uomini sottoposti a chemioterapia o a radioterapia più ADT sperimentano malessere, stanchezza e insonnia.
«Il cancro della prostata si presenta, in buona parte dei casi (dal 30% al 40%) a bassa malignità ed anche la sopravvivenza è ottimale in questi pazienti che, rispetto ad altre neoplasie, presentano tassi di mortalità piuttosto bassi – spiega Domenico Prezioso, Professore Associato di Urologia, Dipartimento di Neuroscienze, Scienze Riproduttive ed Odontostomatologia Università Federico II di Napoli, Responsabile della Prostate Cancer Unit, Membro Comitato Scientifico Europa Uomo – La diagnostica precoce del tumore della prostata si avvale di un marker presente nel sangue (PSA) e in alcuni casi della nuova Risonanza Multiparametrica della ghiandola prostatica nei soggetti con sospetto clinico o legato esclusivamente al rialzo del PSA. Oggi sappiamo che gli screening eseguiti in passato sulla popolazione maschile ultracinquantenne, sulla base delle conoscenze allora disponibili, si sono rivelati incapaci di ridurre la mortalità nel gruppo pazienti screenati, quindi non sono più stati consigliati. Da alcuni anni a questi pazienti viene consigliata la “Sorveglianza Attiva”, vale a dire il controllo periodico sia clinico che del PSA senza particolari cure mediche, che consente di convivere con la malattia, pronti ad intervenire con terapie specifiche qualora le condizioni cliniche dovessero dare segni di progressione».
Ne consegue che laddove è possibile attuare la “sorveglianza attiva” in sicurezza, secondo linee guida con un rigoroso percorso di controlli stretti, questo approccio deve essere preso in considerazione come il primo trattamento per garantire una migliore qualità di vita. Quando, invece, si deve ricorrere a trattamenti invasivi, che hanno maggiore impatto sulla qualità di vita, è importante che il paziente venga seguito all’interno di Centri di cura con grande esperienza e dotati di team multidisciplinare.
«L’evidenza più rilevante che emerge dall’indagine EUPROMS, è che un approccio di sorveglianza attiva ha meno implicazioni in termini di qualità di vita e di esito funzionale rispetto ad un approccio attivo, come la chirurgia, la radioterapia o la chemioterapia – puntualizza Bernardo Maria Rocco, Presidente Comitato Scientifico Europa Uomo- D’altra parte, non è possibile attuare la sorveglianza attiva in tutti i casi di tumore prostatico. I dati dello studio vanno trattati con cautela. Emergono elementi di criticità che riguardano sia la sfera sessuale, che è molto coinvolta dopo i trattamenti chirurgici e radioterapici, sia i disturbi della sfera urinaria, che sono riportati come un dato estremamente significativo. L’approccio che interferisce maggiormente sulla continenza è la prostatectomia radicale, soprattutto se segue la sorveglianza attiva o se è associata a radioterapia. Per quanto riguarda i disturbi irritativi, è la radioterapia a provocare i maggiori disagi a livello sia vescicale che intestinale. Il messaggio che emerge dallo studio è che laddove si può attuare una sorveglianza attiva in sicurezza, secondo linee guida e con uno stretto percorso di controlli, questa ha meno impatto sul dominio della continenza, intestinale e sessuale. Laddove invece si deve ricorrere ad un trattamento, essendo più prono ad un impatto sulla qualità della vita, è necessario identificare Centri di cura che abbiamo molta esperienza nell’erogare queste terapie e dotati di team multidisciplinare».
Per quanto riguarda la terapia ormonale, che viene prescritta ai pazienti per lunghi periodi, Massimo Di Maio, Direttore SC Oncologia Medica 1U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Professore Ordinario di Oncologia Medica Dipartimento di Oncologia Università degli Studi di Torino e Segretario Generale AIOM sostiene che «come tutte le terapie antitumorali, può dare effetti collaterali come stanchezza, vampate di calore, anemia, osteoporosi, riduzione delle masse muscolari e della libido e disfunzione erettile. Sono tante le strategie che si possono mettere in atto per tenere sotto controllo o ridurre queste reazioni avverse. Il primo passo è quello di non sottovalutare la tossicità della terapia ormonale e i disturbi riferiti dal paziente. Il secondo passo è informare il paziente al momento della prescrizione su quelli che potrebbero essere eventuali effetti collaterali. Un paziente che viene informato in anticipo sarà preparato e potrà gestire meglio i disagi. Bisogna garantire una buona comunicazione e un dialogo continuo tra paziente e medico curante durante il trattamento, invitando il malato a riferire tempestivamente all’oncologo tutti i disturbi che sta vivendo. Molti effetti collaterali all’inizio si manifestano in modo lieve e possono essere agevolmente trattati con opportune terapie e interventi di vario tipo, prima che possano compromettere la qualità di vita e l’aderenza al trattamento. In alcuni casi si interviene con misure non farmacologiche, come l’esercizio fisico moderato, regolare e proporzionato alle condizioni fisiche del paziente e alla sua malattia, tra l’altro l’attività fisica comporta benefici anche per la salute dell’osso che subisce un impatto negativo a causa della terapia ormonale».
La medicina nucleare, infine, « consente di avere un impatto significativo sulla diagnosi e sulla terapia – conclude Marco Maccauro, Responsabile Terapia Medica Nucleare ed Endocrinologia SC Medicina Nucleare IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano- Noi riusciamo a vedere quello che curiamo e curiamo quello che vediamo: da questo punto di vista il ruolo del medico nucleare nella gestione della patologia prostatica è fondamentale. Poter utilizzare terapie innovative come i radioligandi diventa fondamentale, in quanto possiamo trattare non solo la malattia ossea (metastasi) ma la malattia in ogni sua fase e localizzazione. In quest’ottica, la figura del medico di medicina nucleare nell’ambito della gestione di questi pazienti diventa sempre più determinante, ovviamente sempre in stretta collaborazione con l’oncologo, attraverso una discussione multidisciplinare che rappresenta un vantaggio per il paziente in termini di tempistica, diagnostica, efficacia terapeutica e costi. I radioligandi sono una terapia di medicina nucleare selettiva, specifica che consente di fare una irradiazione corrispondente al target che viene espresso dalle cellule tumorali».