Cannabis, istruzioni per l’uso. Parole chiave: chiarezza, differenziazione, appropriatezza

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L’argomento è “spinoso”, sotto molti punti di vista. C’è ancora molto da dire, e soprattutto da chiarire. Parlare oggi di cannabis non è facile, perchè si rischia di fornire informazioni sbagliate. O perlomeno di interpretare le informazioni in modo non corretto. Ed ecco quindi che a  Milano l’incontro di “informazione” e “formazione” “Cannabis e Sanità. Ripartire dalla Scienza”, promosso da AdnKronos Comunicazione con il supporto non condizionato di Jazz Pharmaceuticals, fa il punto con l’obiettivo di fare luce su un tema che registra un interesse crescente, ma che, a volte, si scontra con la sua stessa complessità e con l’utilizzo di una terminologia non sempre appropriata.

Obiettivo: mettere  in luce le differenze tra: farmaci a base di cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie, prodotti a base di cannabis non approvati dalle Autorità Regolatorie e prodotti di consumo contenenti cannabidiolo (CBD) partendo da chiarezza, differenziazione, appropriatezza quando si affronta il tema della cannabis in sanità.

In principio fu …la pianta… perché di fatto la cannabis contiene diversi principi attivi, con interessanti potenzialità, che la comunità scientifica sta imparando a conoscere e utilizzare sempre più. Per questo è utile approfondire le differenze tra i suoi diversi impieghi, per evitare che si diffondano informazioni sbagliate, che possano aumentare il rischio di un uso non appropriato e, quindi, dannoso.

Innanzitutto, è importante fare delle distinzioni: ci sono farmaci a base di cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie, prodotti a base di cannabis non approvati dalle Autorità Regolatorie (c.d. cannabis medica) e prodotti di consumo contenenti CBD (cannabidiolo). Si tratta di tre categorie ben distinte, utilizzate per scopi differenti, che portano con sé implicazioni sostanziali.

Partendo dalla parola CHIAREZZA il Professor Giorgio Racagni, Past President SIF – Società Italiana Farmacologia,  ha spiegato cos’è la cannabis da un punto di vista farmacologico. “La cannabis è una pianta che – tra gli altri – contiene prevalentemente due principi attivi, il cannabidiolo (CBD) e il tetraidrocannabinolo (THC), di cui quest’ultimo è in grado di interagire con il sistema endocannabinoide del nostro organismo. In pratica, questo sistema è uno dei più complessi e più importanti del nostro corpo, che contribuisce a regolare gran parte della funzioni vitali. Inoltre il suo compito è anche quello di mantenere l’omeostasi dell’organismo, cioè il suo delicato equilibrio interno, che viene messo a repentaglio dalle condizioni esterne dell’ambiente. Dunque, si attiva per riportare l’equilibrio quando questa viene meno, così come una sua “disregolazione” può contribuire ad eventi patologici”.

Al momento gli endocannabinoidi riconosciuti e studiati a livello scientifico sono due, l’anandamide e il 2-AG (2-arachidonoilglicerolo). Una volta prodotti – continua il Professor Racagni – questi cannabinoidi  si legano a due recettori: i CB1, che si trovano prevalentemente nel sistema nervoso centrale, e i CB2, che si trovano invece principalmente a livello periferico e, in particolare, nelle cellule immunitarie”.

Il sistema endocannabinoide però si attiva anche in presenza di cannabinoidi non endogeni (quindi non prodotti dall’interno), ovvero alcuni dei principi attivi della cannabis – aggiunge il Professor Racagni – Il THC va ad agire come agonista sul recettore CB1, manifestando la sua azione come antiemetico (contro nausea e vomito), antinfiammatorio e analgesico, così come l’azione stimolante ed euforizzante. Il cannabidiolo, a differenza del THC, non ha effetto euforizzante in quanto non agisce direttamente sui recettori CB1. Il CBD svolge la sua azione antiepilettica attraverso meccanismi diversi non ancora del tutto noti ”

Passando alla parola “DIFFERENZIAZIONE”, bisogna distinguere tre categorie. Alla prima appartengono i farmaci a base di cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie, sottoposti a programmi rigorosi di sperimentazioni cliniche, come qualunque altro farmaco.

Della seconda fanno parte i prodotti a base di cannabis non approvati dalle Autorità Regolatorie, utilizzati a scopo terapeutico su prescrizione medica, spesso indicati con il nome di cannabis “medica” o “terapeutica”, impiegati principalmente nel dolore cronico e quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale. In Italia, la cannabis per uso terapeutico può essere prescritta dal medico su ricetta non ripetibile. La mancanza di sufficienti evidenze scientifiche a sostegno del loro utilizzo nelle patologie per cui sono prescritti differenzia questi prodotti dai farmaci. Per questo il Ministero della Salute non considera tali prodotti come una terapia propriamente detta, bensì come un trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard, quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati, o hanno provocato effetti secondari non tollerabili.

Infine, esistono i prodotti di consumo contenenti cannabidiolo, venduti direttamente al pubblico in negozi specializzati o online, che includono oli e altri prodotti a base di cannabidiolo, dispositivi per il vaping e ingredienti per cosmetici. Questi prodotti – di fatto – non rientrano nelle due categorie precedenti e non sono autorizzati per finalità mediche.

Terza e ultima parola chiave del dibattito: “APPROPRIATEZZA”.  “Quando parliamo di appropriatezza prescrittiva – dichiara il Professor Marco Pistis, Ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi di Cagliari, – generalmente ci riferiamo ai farmaci. Tra questi rientrano ovviamente anche quelli derivati dalla cannabis approvati dalle Autorità Regolatorie,che possono avere – come tutti i farmaci – effetti collaterali o interazioni farmacologiche. Ma si tratta di interazioni ben note, studiate e osservate durante gli studi registrativi. Sono monitorati anche nel post marketing dal sistema di farmacovigilanza. Per cui si possono apportare modifiche alle schede tecniche e inserire ulteriori informazioni, limitazioni, controindicazioni, ecc.”

Il concetto di appropriatezza va esteso dunque a tutto ciò che viene impiegato a fini medici, riconoscendo la difficoltà di poterla garantire quando si utilizzano prodotti che non rientrano nella categoria dei farmaci approvati per specifiche indicazioni (es. integratori, prodotti erboristici, etc).

Normalmente i farmaci vengono autorizzati e introdotti nella pratica clinica perché si conosce il rapporto rischio/beneficio – aggiunge il Professor Emilio Russo, Ordinario di Farmacologia presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro – Utilizzandoli in maniera appropriata andiamo a vantaggio del beneficio. In caso contrario sbilanciamo questo rapporto, con il rischio di una mancanza di efficacia, o di andare incontro a fenomeni di tossicità e ad effetti collaterali. Quando parliamo di prodotti a base di cannabis non approvati dalle Autorità Regolatorie, ossia la cannabis medica, invece, la comunità medico scientifica riconosce delle potenzialità alla pianta e ad alcuni dei principi attivi presenti, è consapevole, in alcuni casi, dell’efficacia, ma questa non è stata confermata da studi clinici e, per alcune formulazioni o estratti, non si conosce esattamente il profilo di tollerabilità, soprattutto in relazione ad alcuni contesti patologici. Questo implica che, nel momento in cui andiamo a utilizzare queste sostanze, ci stiamo caricando di una responsabilità medica, esponendo il paziente a un rischio che non è perfettamente noto”.

Conseguenza? L’utilizzo di qualsiasi sostanza, inclusa la cannabis o suoi derivati, al di fuori degli standard normalmente previsti, deve essere monitorato con grande attenzione e professionalità.

In più – spiega il professor Pistis – se per i farmaci approvati dalle Autorità Regolatorie, c’è un sistema di farmacovigilanza che raccoglie tutte le segnalazioni di eventi avversi, nel caso della cannabis medica esiste un sistema di fitovigilanza gestito dall’Istituto Superiore di Sanità, non rigoroso come il primo, applicato al mondo degli integratori, dei prodotti erboristici, fitoterapici e anche alla cannabis medica.”

In questo scenario quello che appare chiaro è che il rischio più grave sia quello dell’automedicazione o della prescrizione non adeguata perché non fatta dallo specialistaafferma la Dottoressa Laura Tassi, Presidente LICE – Lega Italiana Contro l’Epilessia – Lo specialista è figura indispensabile poiché garantisce ‘a monte’ una diagnosi precisa. Altro elemento importantissimo è che, considerate le patologie in cui viene più utilizzata, la cannabis non viene mai prescritta da sola, ma in add on con altri farmaci, e solo lo specialista è in grado di valutare l’interazione tra i farmaci ed eventuali effetti collaterali, che esistono e possono essere molto gravi. Riassumendo, lo specialista deve fornire una diagnosi accurata, avere la formazione adeguata ad utilizzare la cannabis e proseguire nel follow up, modificando eventualmente il dosaggio sulla base della risposta terapeutica”.

Una prescrizione farmacologica può essere considerata appropriata se effettuata all’interno delle indicazioni cliniche per le quali il farmaco si è dimostrato efficace e all’interno delle sue indicazioni d’uso (dose e durata del trattamento) – commenta la Professoressa Marcella Marletta, Esperta di Sanità Pubblica e già Direttore Generale della Direzione dei farmaci, dispositivi medici e della sicurezza delle cure del Ministero della Salute. – Appropriatezza è ovviamente un tema centrale anche quando si parla di cannabis medica. Anche in questo caso è opportuno che siano mantenute o implementate – laddove mancanti – misure che garantiscano l’appropriatezza prescrittiva di questi prodotti.  Formazione e corretta informazione rappresentano capisaldi in ogni ambito, ma risultano imprescindibili in quello medico e scientifico, dove la tutela della salute dei pazienti deve rimanere la stella polare. L’aumento della consapevolezza sulla differenziazione tra i prodotti a base di cannabis e sul loro utilizzo per fini medici, sull’importanza del rispetto della gerarchia del farmaco, su misure che garantiscano l’appropriatezza prescrittiva, sono un obiettivo che tutti gli attori della filiera della salute devono porsi e raggiungere collettivamente per garantire, in primo luogo ai pazienti, la terapia più adatta alla propria condizione clinica e dall’altro allo Stato, di utilizzare in modo virtuoso le risorse pubbliche.”

Un mito da sfatare, infine, è quello che “tutto ciò che è naturale non faccia male”.

Questa è l’affermazione più falsa che ci siasottolinea il Professor Russo – Tra i veleni più pericolosi ci sono quelli che vengono dalla natura. E così anche la cannabis ha effetti collaterali, che in parte conosciamo, per i quali esiste un rischio importante. Nell’ambito oncologico, per fare un esempio, se l’utilizzo della cannabis non viene gestito in modo appropriato, c’è il pericolo che vada ad inficiare le altre terapie cui è sottoposto il paziente, se non causare un danno diretto. Ovviamente, questo vale in qualsiasi contesto clinico e, come per ogni sostanza, il rischio interazioni è sempre dietro l’angolo. L’importante è evitare nella maniera più assoluta ‘il fai da te’, ma avere sempre alle spalle un medico specialista che si occupi della prescrizione e a cui fare riferimento in caso di eventuali criticità.”

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