Nel mondo, 196 milioni di persone sono affette da degenerazione maculare neovascolare (essudativa) o AMD e si prevede che questa cifra arriverà a 288 milioni entro il 2040. Circa il 10-15% delle persone affette da AMD svilupperà la forma avanzata nAMD. Altre 21 milioni di persone soffrono di edema maculare diabetico o DME, che rappresenta l’evoluzione della retinopatia diabetica , che colpisce 146 milioni di persone a livello globale.
La degenerazione maculare neovascolare (essudativa) correlata all’età (nAMD) è una malattia dell’occhio che progredisce rapidamente e, se non trattata, può portare alla perdita della vista in breve tempo. È una delle principali cause di cecità irreversibile e di ipovisione in tutto il mondo e colpisce le persone con l’avanzare dell’età. Si verifica quando vasi sanguigni anomali proliferano e perdono liquido sotto la macula, la parte dell’occhio responsabile della visione centrale nitida insieme ai dettagli. Questo liquido può danneggiare e causare cicatrici a livello della macula, causando così la perdita della vista.
L’edema maculare diabetico (DME), invece, è una complicanza oculare comune nelle persone affette da diabete. La patologia si verifica quando elevati livelli di zucchero nel sangue danneggiano i vasi sanguigni dell’occhio, che rilasciano liquido nella macula. Questo può portare alla perdita della vista e, in alcuni casi, alla cecità. Attualmente in tutto il mondo soffrono di retinopatia diabetica 146 milioni di persone, patologia che può evolvere in una condizione più grave, l’edema maculare diabetico. Il DME colpisce a livello globale circa 21 milioni di persone.
Molti pazienti affetti da edema maculare diabetico (DME) e da degenerazione maculare neovascolare (essudativa) correlata all’età (nAMD) hanno l’esigenza di effettuare frequenti iniezioni intravitreali per mantenere l’acuità visiva, ma molti hanno difficoltà a rispettare l’aderenza alla terapia a lungo termine.
Estendere gli intervalli tra i trattamenti può, quindi, soddisfare un’importante esigenza dei pazienti, riducendo significativamente la frequenza delle iniezioni, senza compromettere l’efficacia e la sicurezza della terapia stessa.
Il primo farmaco ad avere ottenuto una durata d’azione elevata per la maggior parte dei pazienti, con un profilo di efficacia e sicurezza è Aflibercept 8 mg. Una volta approvato, aflibercept 8 mg potenzialmente apporterà un controllo costante nella gestione delle patologie della retina, il cosiddetto “Sustained Disease Control”, in quanto gli intervalli più lunghi tra una somministrazione e l’altra del farmaco ridurrebbero notevolmente il peso della malattia, riducendo il numero di iniezioni intravitreali e di visite mediche per un’ampia popolazione di pazienti, rispetto alla frequenza attualmente richiesta. Aflibercept 8 mg garantisce un controllo duraturo della malattia grazie a miglioramenti dell’acuità visiva con intervalli di trattamento prolungati, un controllo del fluido retinico rapido e durevole e un profilo di sicurezza paragonabile a quello di aflibercept 2 mg.
Il numero di iniezioni con aflibercept 8 mg è stato ridotto di 4,6 iniezioni in due anni, fino a un numero medio di 8,2 iniezioni nel gruppo randomizzato al basale con somministrazioni ogni 16 settimane, rispetto a 12,8 nel gruppo aflibercept 2 mg somministrato ogni 8 settimane.
“I risultati ottenuti nello studio PULSAR rafforzano il potenziale che aflibercept 8 mg ha per ottenere il “Sustained Disease Control”, un controllo duraturo della malattia”, ha dichiarato il Professor Paolo Lanzetta, Presidente del Dipartimento di Oftalmologia dell’Università di Udine e componente del comitato di coordinamento dello studio PULSAR. “Questi dati segnano un punto di svolta nella gestione della malattia, con la possibilità di offrire ai pazienti miglioramenti dell’acuità visiva duraturi, un controllo del fluido retinico rapido e continuo nel tempo, con intervalli tra le somministrazioni prolungati. Una volta approvato, il farmaco potrà anche aiutare i clinici nel liberare risorse da dedicare ad un maggior numero di pazienti.”
I dati a due anni (96 settimane) dello studio registrativo PHOTON nell’edema maculare diabetico (DME) mostrano che aflibercept 8 mg è il primo farmaco a ottenere un miglioramento duraturo dell’acuità visiva.
I pazienti randomizzati alla somministrazione ogni 16 settimane hanno ricevuto 6 iniezioni intravitreali in meno, con un numero medio di 7,8 iniezioni, rispetto al gruppo trattato con aflibercept 2 mg, somministrato ogni 8 settimane, che in media ha ricevuto 13,8 iniezioni.
“Come medico, sono consapevole che un’elevata frequenza di somministrazione può rappresentare un peso per i pazienti e per chi li assiste, e che si registra una preoccupante tendenza a non rispettare l’aderenza terapeutica, con un conseguente peggioramento dei risultati clinici” – ha aggiunto il Professor Paolo Lanzetta –. “In questo studio è interessante vedere come aflibercept 8 mg abbia permesso a un’alta percentuale di pazienti di ricevere le somministrazioni del farmaco con intervalli tra le 16 e le 24 settimane, durante i due anni di trattamento. Una frequenza di somministrazione ridotta potrebbe contribuire a migliorare l’aderenza alla terapia e i risultati clinici per i pazienti”.
“Il DME e la nAMD sono le principali cause di perdita della vista in tutto il mondo. Permettere ai pazienti di condurre una vita normale, con un peso della malattia accettabile e un mantenimento dei miglioramenti dell’acuità visiva rimane una sfida, anche con le attuali opzioni di trattamento” – ha dichiarato la Dottoressa Jane Barratt, Segretario Generale della International Federation on Ageing canadese – “Tra i fattori che contribuiscono al peso della malattia ci sono i problemi logistici per gli spostamenti, le difficoltà per accompagnare i pazienti agli appuntamenti, i tempi di attesa presso gli ambulatori oculistici e la preoccupazione di dover ricevere un’iniezione intravitreale”.
I recenti risultati dell’indagine realizzata a livello mondiale sulla nAMD e la DME, “Barometer”, mostrano chiaramente che il 74% dei pazienti desidera un intervallo di tempo più lungo tra una somministrazione e un’altra, senza avere peggioramenti dell’acuità visiva, e quasi il 90% dei medici è d’accordo. “Un trattamento che risponda a queste aspettative ridurrebbe notevolmente il peso della malattia per i pazienti e i loro caregiver, alleggerendo al tempo stesso la gestione dei pazienti da parte dei medici” ha concluso la Dottoressa Barratt.