Partita da Roma, l’iniziativa “Mind the GaPs in PWIDs: the shorest route to treat” promossa da AbbVie ha fatto tappa a Lecce e a Torino con l’obiettivo di sensibilizzare gli epatologi sulla necessità di accelerare la diagnosi, la gestione e il trattamento dei pazienti affetti da Epatite C. Da questa malattia infiammatoria del fegato causata dal Virus dell’HCV, spesso asintomatica ma che rappresenta una delle principali cause di cirrosi epatica e cancro del fegato, oggi si può guarire attraverso terapie innovative, sicure, efficaci e accessibili per i pazienti.
Nell’identificazione dei pazienti per l’eradicazione di questa patologia, che in l’Italia conta oltre 300.000 pazienti da trattare, di cui più di 200.000 non ancora diagnosticati, ha oggi la grande opportunità del programma nazionale di screening gratuito a disposizione delle Regioni, per il momento prorogato fino a Dicembre 2023, rivolto a 3 categorie di popolazione: i nati nelle fasce d’età 1969-1989, le persone seguite dai Servizi Pubblici per le Dipendenze (SerD) e le persone detenute in carcere.
La regione Puglia, in particolare, ha da poco pubblicato una delibera per il piano regionale di screening indirizzato proprio a queste tre categorie di popolazione.
“Riguardo alla popolazione generale, nel caso in cui ci sia il dubbio di un potenziale contagio, il consiglio è quello di sottoporsi quanto prima al test per la ricerca degli anticorpi anti-HCV – afferma Pietro Gatti, Direttore UOC di Medicina Interna PO Perrino ASL Brindisi – Per effettuarlo è sufficiente la ricetta del medico di famiglia e il pagamento di un ticket; si tratta di un esame entrato nell’uso routinario che si può eseguire in un qualunque laboratorio pubblico o privato. Qualora il test risulti positivo, si procede sempre sullo stesso campione di sangue ad un secondo test per accertare la presenza dell’Rna del virus HCV. Se anche questo risulta positivo significa che il virus è presente e attivo nell’organismo. A questo punto sarà necessario affidarsi ad un Centro esperto in malattie del fegato per avviare ulteriori accertamenti e indagini e in seguito procedere con il trattamento antivirale. Nel caso del trattamento con glecaprevir/pibrentasvir l’eliminazione del virus si ottiene in 8 settimane. La guarigione ha un impatto positivo sulla salute del fegato ma anche su tutte quelle manifestazioni extraepatiche sorte o peggiorate a seguito dell’infezione”.
L’Italia ha il primato in Europa per numero di soggetti positivi all’Epatite C e di mortalità per tumore primitivo del fegato correlato al virus e detiene una grande numerosità di pazienti affetti dalla malattia ignari della propria condizione.
Il bacino di pazienti a più alta prevalenza è rappresentato dai consumatori di sostanze stupefacenti (PWID – People Who Inject Drugs). Il virus si trasmette attraverso il contatto diretto con sangue infetto, per cui i principali fattori di rischio sono: lo scambio di siringhe usate, le trasfusioni di sangue non controllate e non testate, le strumentazioni mediche e chirurgiche (cure dentali, tatuaggi, piercing) non adeguatamente sterilizzate, condotte sessuali a rischio e non protette e trasmissione da madre infetta a figlio durante il parto.
Un esempio di avanguardia nell’arruolamento, diagnosi e trattamento dei pazienti particolarmente difficili come gli utenti dei SerD e i detenuti delle carceri è rappresentato dal cosiddetto modello “Caserta”, nato nel 2017, che fino ad oggi ha permesso di curare oltre 2.600 persone.
“Il segreto di questo modello virtuoso è stata la semplificazione dell’acceso allo screening da un lato e dall’altro la diagnosi rapida e l’invio immediato del paziente al trattamento – spiega Vincenzo Messina, Infettivologo AOS “Sebastiano S’Anna” di Caserta e Responsabile Centro di cura per epatite C Malattie Infettive – In pratica, abbiamo creato uno stretto legame tra i clinici delle malattie infettive e gli operatori dei SerD e delle carceri per poter gestire una popolazione nella quale la prevalenza di HCV è altissima. Il link tra ospedale e territorio ha portato alla creazione di una rete in cui qualunque operatore in qualunque momento è perfettamente in grado di fare uno screening, interpretarlo, organizzare il percorso diagnostico e inviare il paziente allo specialista per la valutazione clinica e la terapia”.
“Agganciare, diagnosticare e trattare i consumatori di droghe iniettive è fondamentale e va fatto all’interno della struttura che questi pazienti frequentano per motivi terapeutici, cioè i Servizi per le dipendenze – afferma Salvatore Lobello, Direttore f.f. UOC SerD Padova-Piove di Sacco– Fondamentale è la collaborazione tra il SerD dove viene fatta la diagnosi e il centro prescrittore, che deve fornire tutte le garanzie di una veloce presa in carico e un veloce accesso al trattamento. Lo scopo è mantenere il contatto con il paziente attraverso il SerD mentre il centro prescrittore è responsabile della valutazione clinica e della parte terapeutica. Molti pazienti riscontrano forme complicate di Epatite C e il centro prescrittore deve quindi essere in grado di assicurare un corretto follow up”.
Anche Presso l’ospedale di Mantova è stato creato un percorso clinico-organizzativo alcuni anni fa, partito dalla struttura di Malattie Infettive con la realizzazione di un centro dedicato alle malattie del fegato e la creazione di una équipe di epatologi con competenze cliniche, ecografiche e di gestione del paziente epatopatico. Come spiega Giorgio Pierboni, Infettivologo ed epatologo presso SC SerD ASST Ospedale di Mantova: “questo ha consentito di automatizzare gli esami di laboratorio, l’ecografia, la visita e la terapia direttamente nell’ambulatorio, con una gestione interna degli appuntamenti. Questa struttura ha fatto si che il reparto diventasse un punto di riferimento della Provincia arruolando nel giro di 3-4 anni oltre 1.000 pazienti. Nel 2019 il reparto ha stilato un accordo con il SerD grazie ad un progetto di gestione ambulatoriale combinata. In base a questo accordo i cinque SerD provinciali potevano eseguire gli esami di primo livello mentre l’ambulatorio epatologico si occupava degli esami di secondo livello e della prescrizione del trattamento. Tutto ciò ci ha permesso Ancora oggi continuare a trattare i pazienti dei SerD”.
L’Epatite C, pur colpendo il fegato, viene considerata una malattia sistemica a tutti gli effetti. Circa due terzi dei pazienti con infezione da HCV cronica va incontro, con il passare degli anni, ad una serie di disturbi e patologie collegati in parte all’aumento dell’infiammazione scatenata dalla malattia. L’eliminazione del virus HCV con i farmaci antivirali ad azione diretta porta ad un netto miglioramento delle complicanze extraepatiche. Ecco perchè è importante la diagnosi precoce, lo screening e il trattamento tempestivo.
“Oggi con i farmaci ad azione virale diretta è possibile curare – ossia eliminare per sempre – il virus HCV in oltre il 96% dei pazienti– commenta Giovanni Cenderello, Direttore SC Malattie Infettive ASL1Imperiese di Sanremo – Su questo 96% non incide né genotipo, ossia la sottofamiglia del virus, né la condizione clinica di cirrosi o di non cirrosi: il 96% dei pazienti risponde alla terapia e guarisce al primo trattamento. Glecaprevir/pibrentasvir, combinazione di due antivirali diretti, agisce andando a bloccare alcuni meccanismi cruciali indispensabili per la replicazione del virus, permettendo così all’organismo di eliminarlo”.
“La combinazione di antivirali diretti orali – commenta Teresa Santantonio, Professore Ordinario di Malattie Infettive Università di Foggia e Direttore SC Malattie Infettive Policlinico Foggia – ha rivoluzionato il trattamento dell’Epatite C, rendendo accessibile a tutti i pazienti con infezione da HCV la terapia e la guarigione nella maggior parte dei casi. La possibilità di ridurre la durata della cura fino a sole 8 settimane in pazienti con o senza cirrosi mai trattati, consente di mantenere alta l’aderenza e di ottenere l’eradicazione del virus in pazienti difficili da trattare come i tossicodipendenti, che restano il gruppo a maggior rischio di infezione da HCV”.