Contare le pecore? O meglio una tisana? E un buon libro? O magari un po’ di esercizio fisico che stanca? C’è chi le prova tutte pur di dormire. Perchè l’insonnia è davvero una malattia. Che può durare anche anni. Ha afflitto persino il Papa Emerito Benedetto XVI. L’insonnia, infatti, sarebbe stata il “motivo centrale” delle sue dimissioni nel 2013 secondo quanto avrebbe rivelato lui stesso in una lettera inviata poche settimane prima della sua morte al suo biografo.
L’insonnia dunque…. nuoce gravemente alla salute. Almeno di 6 milioni di italiani. Anche se le cifre sono indicative, tra diagnosi ritardate e cure fai-da-te che portano alla cronicizzazione di una malattia che minaccia la qualità di vita e la salute a lungo termine di chi ne è affetto.
Quale patologia riconosciuta da parte di medici e pazienti l’insonnia cronica va inquadrata e trattata in maniera appropriata. Oggi, dalla ricerca di Idorsia, azienda impegnata da oltre 20 anni nello studio e sviluppo di molecole per l’insonnia, è arrivata in Italia una nuova prospettiva terapeutica – che agisce in modo mirato sul sistema dell’orexina, bloccando i segnali che promuovono la veglia – e con dati di efficacia e sicurezza valutati fino a 12 mesi.
«Finalmente l’insonnia viene classificata come un disturbo a sé stante che ha sia una componente notturna, per cui il paziente fa fatica o ad addormentarsi o a mantenere il sonno, sia una componente diurna con specifiche conseguenze durante il giorno come irritabilità, scarsa concentrazione e attenzione, sonnolenza, lacune mnesiche – afferma Liborio Parrino, Direttore Scuola di Specializzazione in Neurologia e Direttore Centro Medicina del Sonno Università di Parma, Direttore SC di Neurologia AOU di Parma – L’insonnia è una malattia complessa, sono più di 89 le diverse forme».
Un problema sanitario emergente a livello globale, quello dell’insonnia, a elevata prevalenza nella popolazione generale, con marcati picchi in relazione ad età avanzata e genere femminile.
La patologia poi, si distingue in acuta e cronica: la prima ha una durata inferiore a tre mesi e, secondo diversi studi epidemiologici, colpisce fino al 30% della popolazione; la seconda può durare anche tutta la vita, con una forbice di prevalenza tra il 10 e il 15%, vale a dire dai 6 ai 9 milioni di individui. Una patologia che comportamenti e abitudini di vita sbagliati possono favorire, come sottolinea Luigi De Gennaro, Professore Ordinario di Psicobiologia e Psicologia Fisiologica e di Psicofisiologia del Sonno Normale e Patologico, Università Sapienza di Roma. «Per prima cosa vanno evitate prima di mettersi a letto tutte le sostanze stimolanti (caffè, tè, nicotina, etc.) e l’assunzione di alcol che deprime e peggiora le normali funzioni respiratorie durante il sonno; bisogna cercare per quanto possibile di mantenere una certa regolarità negli orari di addormentamento e risvegli; è sconsigliata la sera una eccessiva assunzione di cibi e di liquidi; va assolutamente evitata l’attività fisica nelle ore serali così come l’uso di dispositivi elettronici, che hanno un doppio effetto negativo: da un lato rimandano l’addormentamento, dall’altro sopprimono la secrezione spontanea della melatonina che è strettamente legata al buio».
L’insonnia presenta un impatto significativamente importante sulla qualità di vita di chi ne soffre, che spesso tende a non cercare aiuto da specialisti o nei Centri di Medicina del Sonno ma ad affidarsi a trattamenti non specifici o al consiglio di parenti e amici. Ma, come evidenzia Laura Palagini, UO Psichiatria 2 Universitaria, ambulatorio di medicina del sonno, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana AUOP, capire se si è insonni non è complicato: «L’insonne vorrebbe dormire e soffre perché non ci riesce. Vive una condizione di sofferenza soggettiva, si mette a letto e sente la necessità, la voglia, il bisogno di dormire, ma senza riuscirci perché il corpo è stanco e ha bisogno di recuperare mentre il cervello è attivo, per cui la persona non riesce ad abbandonarsi al sonno. È importantissimo quindi, quando si manifestano le prime avvisaglie di insonnia che perdura nel tempo, non affidarsi alle cure fai da te ma rivolgersi subito ad uno specialista del sonno per impedire che la malattia diventi cronica ed evitare l’impatto negativo su mente e corpo».
Ed ecco entrare in gioco per aiutare chi convive da tempo con il disturbo una nuova opportunità terapeutica: daridorexant, il primo farmaco ad arrivare in Italia, di una classe, gli inibitori dell’orexina, neurotrasmettitore fondamentale per mantenere lo stato di veglia. Una compressa al giorno, 30 minuti prima di coricarsi.
«Le caratteristiche di questa molecola (che la momento è a carico del paziente) non sono solo la sua maneggevolezza e la sua sicurezza, come hanno dimostrato gli studi che ne hanno valutato gli effetti collaterali, ma anche l’efficacia: infatti gli studi condotti in doppio cieco versus placebo hanno dimostrato che funziona sulla qualità e quantità del sonno e rimane efficace anche se assunto per lunghi periodi – afferma Luigi Ferini Strambi, Professore Ordinario di Neurologia Università Vita-Salute di Milano, Direttore Centro di Medicina del Sonno IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano – Daridorexant agisce sull’orexina, neurotrasmettitore della veglia, inibendone il funzionamento poiché si lega ai suoi due recettori. Il grosso vantaggio di questo farmaco è la sua emivita ottimale di otto ore: questo vuol dire che impedisce il funzionamento dell’orexina per un periodo di tempo coincidente con il sonno. Al mattino l’orexina ricomincia a funzionare e di conseguenza il farmaco non dà sedazione dopo il risveglio. Gli studi controllati condotti con daridorexant hanno infatti dimostrato l’assenza di sonnolenza diurna e di problemi cognitivi. Altro vantaggio del daridorexant è che non serve solo a ridurre il tempo di addormentamento, ma facilita anche il mantenimento del sonno. Inoltre, questo farmaco rispetto ad altri composti ipnotici, si è dimostrato sicuro anche nei soggetti che soffrono di apnee durante il sonno, quasi la metà dei quali ha un problema di insonnia con difficoltà di mantenimento del sonno».
L’impegno di Idorsia non si limita però solo allo sviluppo di farmaci. L’azienda ha intrapreso e sostiene una serie di iniziative educazionali per creare una cultura del sonno, e formare ed informare medici e specialisti che si occupano di questa malattia. «Abbiamo capito che la prima cosa da fare è proprio cambiare la percezione attuale dell’insonnia, considerata mero sintomo, ed elevare la forma cronica alla dignità di vera e propria “malattia” – commenta Francesco Scopesi, General Manager di Idorsia Italia – e per raggiungere questo obiettivo abbiamo intrapreso e sostenuto una serie di iniziative educazionali per migliorare la formazione del medico e la sua consapevolezza dell’impatto che l’insonnia cronica ha sulla vita del paziente. Per poter affrontare l’insonnia cronica è importante fare una corretta diagnosi, studiarla in modo specifico, personalizzando l’approccio terapeutico in base al profilo del paziente. Sappiamo che ad oggi l’insonnia è seguita da un gruppo molto ristretto di clinici, principalmente operanti nell’ambito dei Centri di Medicina del Sonno, noi vogliamo favorire l’allargamento della cultura del sonno in Italia. Sappiamo che al paziente non viene chiesto “come dormi?”, che è invece una domanda fondamentale. L’insonnia è ancora molto sottovalutata, tutto questo deve cambiare».