Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morbilità e mortalità nei paesi industrializzati. Un dato di fatto, causato da molti fattori. Tra quelli noti, si inserisce a pieno titolo anche l’inquinamento. Ormai le grandi città, ma non solo, a causa del cambiamento climatico (periodi di siccità e scarse piogge, aumento della temperatura etc..) , oltre all’aumento del traffico e dell’utilizzo energetico, hanno portato a includere anche le cause ambientali tra i big killer. L’argomento è stato discusso ampiamente durante la XXXIX edizione del congresso “Conoscere e Curare il Cuore” in corso fino a domani a Firenze, organizzato dal Centro per la Lotta contro l’Infarto Srl
A monte degli eventi aterotrombotici, dunque, oltre ai ben noti fattori di rischio modificabili e non modificabili come la predisposizione genetica, lo stile di vita, l’inquinamento atmosferico sta richiamando l’attenzione sempre maggiore dei ricercatori, tanto è vero che un recente documento congiunto della European Respiratory Society (ERS) e della American Thoracic Society (ATS) ha identificato l’apparato cardiovascolare come il suo principale bersaglio.
L’inquinamento atmosferico è una miscela complessa di gas (monossido e ossido di azoto, ozono, diossido di zolfo, ammoniaca), goccioline volatili (chinoni e idrocarburi aromatici policiclici) e particolato (particulate matter, PM). Negli ultimi 30 anni diversi studi hanno collegato gli inquinanti atmosferici, e soprattutto il particolato, alle malattie cardiovascolari. Il PM è una miscela eterogenea comunemente classificata sulla base delle dimensioni delle particelle in particolato grossolano (PM10: diametro aerodinamico <10 µm), fine (PM2.5: diametro aerodinamico <2.5 µm) e ultra-fine (PM0.1: diametro aerodinamico <0.1 µm).
“Il particolato fine è la principale componente dell’inquinamento atmosferico che causa malattie cardiovascolari – commenta Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto – Ad oggi, sia l’esposizione a breve termine (ore o giorni) sia l’esposizione a lungo termine (anni o decadi), si sono dimostrate associate direttamente o indirettamente al rischio di malattia coronarica. Infatti, mentre diversi studi prospettici hanno evidenziato come l’esposizione prolungata al PM2.5 si associava allo sviluppo di aterosclerosi e di fattori di rischio cardio-metabolici quali ipertensione arteriosa e diabete mellito, l’esposizione a breve termine al PM2.5 si è dimostrata determinante per eventi coronarici acuti, soprattutto in soggetti con malattia coronarica preesistente”.
Molti studi epidemiologici hanno dimostrato un’associazione diretta tra l’esposizione prolungata al PM2.5 e il carico aterosclerotico stimato attraverso misure quali l’ispessimento intima-media carotideo, le calcificazioni coronariche e aortiche e l’indice caviglia-braccio. Anche studi sperimentali sui topi con aterosclerosi hanno evidenziato che l’esposizione cronica al particolato determina progressione delle lesioni vascolari.
“Dati recenti supporterebbero inoltre l’ipotesi che i pazienti con malattia coronarica preesistente siano a maggior rischio di sperimentare eventi coronarici acuti rispetto ai soggetti sani dopo esposizione di breve durata a più alte concentrazioni di inquinanti atmosferici – aggiunge Prati – A tal proposito, uno studio condotto nelle aree urbane dell’Utah’s Wasatch Front negli Stati Uniti ha valutato gli effetti dell’esposizione a breve termine al particolato fine sul rischio di sviluppare una sindrome coronarica acuta. I risultati dello studio hanno evidenziato che nei soggetti con malattia coronarica preesistente l’esposizione ad alte concentrazioni di particolato fine possa fungere da evento scatenante per eventi coronarici acuti, con un rischio maggiore per l’infarto”.
Si ipotizza che gli inquinanti causino in primis aumentato stress-ossidativo e infiammazione a livello polmonare.
Questo meccanismo può essere amplificato quando gli inquinanti sono essi stessi ossidanti, come nel caso dell’ozono o del PM2.5. L’ampia superficie del PM2.5 facilita infatti l’assorbimento di materiale organico, metalli pesanti e altre sostanze tossiche e fornisce spazio per la formazione di radicali liberi dell’ossigeno.
L’esposizione al traffico automobilistico si è dimostrata essere determinante per l’attacco di infarto miocardico acuto entro poche ore. Studi sperimentali su modelli animali di trombosi arteriosa hanno evidenziato fenomeni di attivazione piastrinica entro 30 minuti inalazione nelle trachea delle particelle dei gas di scarico dei diesel. Nei pazienti a più alto rischio cardiovascolare e maggior carico aterosclerotico si osservava una rapida attivazione piastrinica dopo inalazione acuta degli inquinanti atmosferici, come evidenziato in soggetti diabetici esposti acutamente al PM10.
Se dunque da una parte i soggetti con fattori di rischio tradizionali sono a più alto rischio di sviluppare eventi CV dopo l’esposizione al particolato, dall’altra gli inquinanti atmosferici possono promuovere lo sviluppo di questi fattori di rischio. Numerose evidenze dimostrano infatti come l’inquinamento atmosferico sia implicato nello sviluppo di fattori di rischio cardio-metabolici quali ipertensione arteriosa e insulino-resistenza.
L’associazione tra inquinamento atmosferico e ipertensione arteriosa è stata ampiamente valutata, ed è stata oggetto di almeno 4 recenti meta-analisi. Un aumento del particolato fine atmosferico di 10 µg/m3 è associato all’aumento da 1 a 3 mmHg della pressione arteriosa sisto-diastolica già dopo pochi giorni di esposizione. Un’altra recente meta-analisi di 13 studi pubblicata nel 2015 ha evidenziato come PM2.5 e NO2 aumentino il rischio di diabete (hazard ratio, HR: 1.10; 95% CI: 1.02-1.18 e HR: 1.08; 95% CI: 1.00-1.17 per 10 µg/m3 di aumento di PM2.5 e di NO2, rispettivamente).
Nel 2021 per la prima volta è stato dimostrato nell’uomo come l’inquinamento atmosferico aumenti il numero dei globuli bianchi e l’infiammazione a livello delle placche aterosclerotiche, e come questo risulti associato direttamente e indipendentemente con gli eventi avversi cardiovascolari maggiori. “Alla luce di ciò, l’inquinamento atmosferico dovrebbe essere visto come uno dei principali fattori di rischio modificabili nella prevenzione delle malattie cardiovascolari – conclude Prati – In tal senso, se da una parte oggi si ipotizza l’impiego di farmaci che contrastino il substrato fisiopatologico dell’aterosclerosi, quali statine e anti-infiammatori, dall’altra bisognerebbe sottolineare ed enfatizzare ancora maggiormente come un intervento primario sui fattori di rischio sia più drasticamente efficiente. Tra questi, la salubrità degli ambienti di vita dovrebbe essere un obiettivo primario di salute pubblica, da perseguire attentamente e tenacemente”.