Basata su circa 1.500 interviste, la survey è stata condotta dall’Istituto Piepoli in collaborazione con l’Associazione italiana sindrome fibromialgica Organizzazione di volontariato (Aisf Odv) delineando l’identikit del paziente e indicando la via per percorsi di cura più adeguati.
A esserne colpiti ben 2 milioni di italiani, prevalentemente donne e di mezz’età. Con importanti ripercussioni sulla vita lavorativa, familiare e affettiva.
I sintomi della fibromialgia sono ben precisi: dolori diffusi in tutto il corpo, in particolare schiena e cervicale, stanchezza, insonnia, depressione e ansia. Un paziente su due ritiene di avere uno stato di salute scadente, a conferma del fatto che si tratta di una patologia di grande impatto sulla vita di chi ne è affetto. Solo il 14% si dichiara in buono stato di salute e per appena il 38 % è passabile. A ulteriore riprova, lo studio rivela che in molti (circa la metà) si sentono limitati persino nel salire un piano di scale, e quasi tutti hanno limitato il lavoro insieme altre attività quotidiane. Il dolore e lo stato emotivo connessi alla malattia determinano, infatti, limitazioni nel lavoro in due casi su tre e nelle attività sociali nel 56% dei casi. Lo stato emotivo triste non flette in modo rilevante col passare degli anni, come a dire che non ci si “abitua” alla malattia. Ad aggravare il quadro, il fatto che 8 intervistati su 10 si sentano incompresi dagli altri.
“Possiamo definirla una malattia invisibile, non ha un biomarcatore, un evidente danno clinico, non ha una cura – spiega Giusy Fabio, vicepresidente Aisf -. I pazienti sono considerati malati immaginari, ipocondriaci, visionari e il loro dolore, la loro sofferenza risulta agli occhi degli altri inventata. Anche perché, sebbene sempre più di frequente coinvolga anche gli uomini – a esserne colpite sono spesso donne apparentemente in salute e generalmente di bell’aspetto. Ancora oggi, alcuni medici sostengono che la fibromialgia non esiste, che non è una patologia, ma solo una “moda”. L’incomprensione, il non ascolto, non essere capiti, frusta chi ne è affetto, creando un senso di solitudine che piano piano porta il paziente a isolarsi. Ecco che i rapporti si inclinano, il paziente si arrende e diventa totalmente succube della malattia. Servirebbe una campagna istituzionale di comunicazione per rimuovere lo stigma”.
Chi ne soffre, inoltre, anche perché poco sensibilizzato, di solito aspetta molto, anche 5 anni prima di ottenere una diagnosi. I sintomi, oltre al dolore, sono spesso legati alla stanchezza e 9 su 10 soffrono di altre patologie. Circa 6 intervistati su 10 seguono una terapia farmacologica, e ben 8 su 10 assumono diversi integratori. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi, l’aderenza alla terapia è buona. “Molti pazienti fibromialgici usano farmaci e integratori che possono aiutarli nel migliorare il tono dell’umore e ridurre la stanchezza e il dolore, sintomi principali della malattia – indica Laura Bazzichi, Unità Operativa di Reumatologia-Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana -. Particolarmente utilizzata la molecola dell’acetil-L-carnitina che aiuta tantissimo, migliorando rapidamente l’umore, ristrutturando i muscoli e riducendo il dolore”.
L’indagine rivela che una quota rilevante dei pazienti (63%) sperimenta terapie alternative e tenta la via dell’attività sportiva regolare, in particolare yoga e pilates. “Una corretta gestione della sindrome fibromialgica dovrebbe prevedere un approccio integrato multispecialistico, basato su quattro pilastri – aggiunge Fabio – come, educazione del paziente, “fitness”, inteso come insieme della forma fisica e degli aspetti nutrizionali, farmacoterapia e psicoterapia, in cui un utilizzo appropriato dei farmaci si affianca a un percorso non farmacologico disegnato sulle esigenze del paziente”.
Grazie alla survey scopriamo che il punto di riferimento principale è il reumatologo (58% degli intervistati), ma è molto ascoltato anche il medico di base, con un livello di soddisfazione non molto elevato (41%). Quelle che invece sembrano mancare sono soprattutto l’empatia e la vicinanza. “Dai dati emerge una propensione dei pazienti ad assumere farmaci per la modulazione del dolore (SSR inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, triciclici e miorilassanti) che servono anche come regolatori del tono dell’umore (antidepressivi) che, per mia esperienza, vengono di solito accettati a fatica – aggiunge Bazzichi -. È inoltre un bene che il reumatologo venga visto come punto di riferimento, perché molto spesso è lo specialista più indicato per fare una diagnosi differenziale accurata. Affianco a questo però, molti pazienti hanno necessità di trovare anche nel medico di famiglia e in altri professionisti, supporto e comprensione a 360 gradi”.
I caregiver infine sono presenti solo in 2 casi su 10, e di solito affiancano il paziente nelle attività quotidiane e, tra le associazioni, molto nota è Aisf Odv, conosciuta da 2 pazienti su 3. “Un risultato di cui vado fiera, di cui tutta l’Aisf va fiera – conclude Fabio – è la percentuale di quanto l’associazione sia riconosciuta e conosciuta, sicuramente a fronte di un buon lavoro svolto a fianco e a supporto dei pazienti. La survey mostra un quadro completo e ben definito, utile per continuare a seguire alcuni percorsi, iniziarne altri, affinché si possa dare ancora di più, sostegno, aiuto e dignità ai pazienti fibromialgici”.