XXXVIII EDIZIONE “CONOSCERE E CURARE IL CUORE 2021”: la demenza è sempre più connessa alla salute del cuore

La XXXVIII edizione del congresso “Conoscere e Curare il Cuore”, organizzata dalla Fondazione “Centro Lotta contro l’Infarto” appena concluso a Fortezza da Basso – Firenze, è la seconda, in “era di pandemia”, e la prima, dall’avvento della campagna vaccinale.  Una edizione, questa del 2021, nella quale le evidenze dei dati, sempre più solide, sono state al centro del dibattito della cardiologia italiana. Tra i temi discussi, quello de declino cognitivo come patologia collegata al cuore. 

 

Gli studi confermano che il declino cognitivo è una patologia sempre più connessa al cuore perché è stata dimostrata una correlazione evidente tra fattori di rischio cardiovascolari e declino cognitivo. Il numero di persone affette da demenza nel mondo è in progressivo aumento a causa della espansione della popolazione geriatrica, nella quale tale condizione clinica è più frequente e a causa dell’enorme diffusione dei fattori di rischio cardiovascolare nella popolazione generale, che .iniziano a manifestarsi piuttosto precocemente, ragione per cui è fondamentale una loro pronta correzione prima che possano innescare ed amplificare i meccanismi fisiopatologici che portano al declino cognitivo.

Prima, tra tutti i fattori di rischio, è l’ipertensione la cui presenza nell’età giovane-adulta si associa ad un aumentato rischio di demenza nell’età avanzata. Tra 1.440 individui di mezza età (media 55 anni) esaminati dal Framingham Offspring, la presenza di una pressione sistolica >140 mnHg è risultata associata nel corso di un follow-up di 18 anni ad un aumento del 60% del rischio di demenza. La persistenza di elevata pressione anche nell’età avanzata (media 60 anni) è risultata associata ad un ulteriore incremento del rischio. Recentemente i risultati dello studio Systolic Blood Pressure Intervention Trial Memory and Cognition in Decreased Hypertension (SPRIN MIND) hanno fornito un nuovo e supporto all’ipotesi di una possibile prevenzione della demenza attraverso un efficace trattamento dell’ipertensione arteriosa, producendo la prima convincente dimostrazione dell’efficacia della terapia antipertensiva nel prevenire il declino cognitivo senile.

Anche il diabete mellito di tipo 2 è associato ad un significativo aumento del rischio di demenza. Una recente meta-analisi di 14 studi di coorte per un totale di 2.3 milioni di individui con diabete mellito di tipo 2, di cui 102.174 affetti anche da demenza, ha dimostrato un significativo rischio di demenza con una relazione diretta tra durata e severità della malattia e rischio di sviluppare demenza. Queste evidenze  trovano fondamento nella condivisione di importanti determinanti fisiopatologici, quali la condizione di insulino-resistenza, l’aumentato stress ossidativo e la microinfiammazione cronica, tanto da spingere i ricercatori ad etichettare la malattia di Alzheimer come “diabete mellito di tipo 3”. Anche l’obesità è fattore di rischio del declino cognitivo. La relazione tra eccedenza ponderale e declino cognitivo è stata oggetto di una recente revisione di 19 studi longitudinali, per un totale di 589.649 individui di età compresa tra 35 e 65 anni, seguiti nel corso di un follow-up fino a 42 anni. I risultati dimostrano un aumentato rischio di demenza nei pazienti con obesità conclamata, ma non nei soggetti in sovrappeso.

Anche i fumatori sono esposti da un lato, ad un aumentato rischio di demenza e, dall’altro, ad una aumentata probabilità di morire prima dell’età in cui più frequentemente la demenza si sviluppa, aspetto quest’ultimo che inevitabilmente rappresenta un bias interpretativo della relazione tra fumo e rischio di demenza. Uno studio recentemente pubblicato, che ha incluso 46.140 uomini con età  superiore a 60 anni, ha dimostrato un ridotto rischio di demenza nei soggetti che non avevano mai fumato e in quelli che avevano smesso di fumare da almeno 4 anni rispetto a quelli che avevano continuato a fumare.

Inoltre, nel corso degli ultimi anni un crescente interesse è stato rivolto dalla letteratura scientifica all’ipotesi che i disturbi del sonno possano condizionare un aumentato rischio di sviluppare sia eventi cardiovascolari che demenza. Due meta-analisi recentemente pubblicate hanno fornito la medesima dimostrazione di un significativo incremento del rischio di demenza nei pazienti che presentavano disturbi del sonno in generale (durata del sonno breve o lunga, qualità del sonno scadenze, alterazioni del ritmo circadiano, insonnia, sindrome delle apnee ostruttive). Questi disturbi del sonno sono risultati associati ad un aumentato rischio di demenza in generale e di malattia di Alzheimer. La relazione tra durata del sonno e rischio di declino cognitivo sembra avere un andamento ad U con un aumentato rischio di demenza in generale e di malattia di Alzheimer per una durata del sonno minore di 5 ore.

 

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