Pipì a letto. Ovvero enuresi notturna. Un disturbo diffuso, ma ancora sottostimato: spesso genera disagio, ansie e preoccupazioni. Un disturbo comune nell’infanzia, che preoccupa molto però anche in età adolescenziale. In parole povere, l’enuresi notturna è l’emissione involontaria di urina nel sonno. E interessa ben due 2 milioni di italiani. Di questi, più di un milione e 200mila sono bambini e adolescenti tra i 5 e i 14 anni. La Giornata Mondiale dell’Enuresi, istituita dalla International Children’s Continence Society (ICCS) e dalla European Society of Pediatric Urologists (ESPU), quest’anno ricorre il 25 maggio e punta a promuovere il dialogo con i professionisti della salute per indagare le cause e ricercarne le soluzioni.
Primo passo, fondamentale, quando ci si accorge che il bambino fa la pipì a letto e non si tratta di un episodio isolato, è rivolgersi al pediatra. Cosa tutt’altro che scontata. Infatti, da un’indagine telefonica su un campione di 13mila famiglie è emerso che il 61% dei pazienti con enuresi (oltre 700mila bambini) non si è mai consultato con un pediatra e il 16% di loro ha più di 12 anni. In realtà, la prevalenza stimata, ossia il numero di bambini che ne soffrono, è più elevata di quanto si possa immaginare: in età prescolare arriva a interessare un bambino su cinque, all’età di 10 anni si parla di 1 bambino su 10 e 3 ragazzi su 100 nella fascia tra i 15-20 anni.
Centrale è il ruolo del pediatra, che già a 4-5 anni (non a 8 anni, come avviene tuttora il più delle volte) e, in ogni caso, al momento dell’ingresso alla scuola elementare, con poche e semplici domande potrebbe e dovrebbe verificare se il bambino bagna il letto prima che questo disturbo porti i genitori a uno stato di frustrazione e il bambino a un calo di autostima.
L’enuresi è un disturbo di cui si può iniziare a parlare dai 5 anni, quando l’apparato urinario è ormai maturo. Nei casi in cui il problema dipende da un deficit del normale aumento della produzione notturna dell’ormone ADH, si è in presenza di “enuresi monosintomatica”. In altri casi, il problema è riconducibile a improvvise contrazioni del muscolo della vescica, non inibite dalle strutture del cervello che dovrebbero tenerle sotto controllo. Vi è, infine, la cosiddetta “forma mista”, caratterizzata dalla presenza contemporanea di entrambe le cause. Si è poi soliti distinguere l’enuresi primaria, quando il bimbo fa la pipì a letto quasi ogni notte e non c’è mai stato un periodo di almeno 6 mesi in cui abbia lasciato il letto asciutto, da quella secondaria, in cui i problemi psicologici del bimbo ricoprono un ruolo rilevante e che si manifesta dopo un periodo di almeno 6 mesi in cui il piccolo non ha bagnato il letto. Il pediatra, dopo aver visitato il paziente, fa compilare ai genitori il diario minzionale per riconoscere il tipo di enuresi, in modo da prescrivere una terapia adeguata. Nei casi più seri (quando si bagna il letto quasi ogni notte) è necessario seguire una terapia farmacologica, ma fondamentale è anche il ruolo dei genitori, che devono tenere sempre un atteggiamento positivo, senza però trascurare il problema.
“È bene partire innanzitutto da alcune buone abitudini – spiega il dottor Antonio D’Alessio, chirurgo urologico pediatrico e pediatra, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Pediatrica dell’ASST Ovest Milanese, Ospedale di Legnano (Milano) – come fare pipì prima di andare a letto, bere molto durante il giorno ma poco dopo le 18, ridurre i cibi salati e ricchi di calcio e contrastare sovrappeso e stitichezza. Solo nelle forme più severe di enuresi possono essere prescritti farmaci in base alla causa scatenante: l’ormone antidiuretico sintetico quando il problema è dovuto alla ridotta produzione di ADH e anticolinergici se l’origine del disturbo è la difficoltà nel controllo della vescica. Per le forme miste, infine, vanno assunti entrambi i farmaci”.
“L’aspetto psicologico non va mai trascurato – spiega la dottoressa Beatrice Casoni, medico psichiatra presso la Casa di Cura Quisisana di Ferrara e Neurocare Bologna – sia che rappresenti la causa scatenante del problema, sia che evidenzi l’espressione di un problema organico. E’ molto importante anche il contesto in cui il bambino vive: le interazioni famigliari, gli eventuali cambiamenti di vita (separazioni, nascita di un fratellino, clima emotivo generale) sono aspetti che possono incidere non solo sulle cause, ma anche sul miglioramento del disturbo. L’aspetto psicologico aiuta a fare chiarezza sui vissuti affettivi e relazionali di un bambino. Andrebbero indagate emozioni e stati d’animo per comprendere se vi siano vissuti di ansia e paura che, pur non manifestati durante la giornata, trovano espressione durante la notte, quando viene meno il controllo. È bene prestare attenzione alle richieste del bambino, più o meno esplicite di aiuto, chiedergli che cosa sente, che cosa prova, in modo da affrontare il problema senza perdere la calma, insieme al bambino, e renderlo partecipe della terapia. I piccoli non vanno mai puniti, ma compresi e sostenuti. E per evitare ripercussioni sull’autostima – prosegue la dottoressa Casoni – è bene spiegare ai genitori che il bambino non va mai giudicato, deriso o rimproverato. È importante permettere anche alla mamma e al papà uno spazio di ascolto: infatti, spesso anche una madre può sentirsi inadeguata quando non riesce a risolvere il problema. Instaurare un sereno clima di dialogo all’interno della famiglia, condividendo anche le preoccupazioni degli adulti, permette a tutto il sistema di scaricare la pressione, allentando la tensione sul problema”.
In breve, L’approccio all’enuresi può essere esemplificato in tre fasi:
1) togliere al bambino ogni senso di colpa;
2) spiegargli che si tratta di una condizione frequente (ne soffre 1 bambino su 10 e ogni notte tre milioni e mezzo di bambini bagnano il letto);
3) esprimergli comprensione nei confronti del suo disagio, parlando del problema con il pediatra.
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