Continuano gli studi sui possibili effetti causati dall’infezione causata dal Covid-19. Le ultime novità sono state presentate dalla Società Italiana di Urologia.
La presenza del Coronavirus nel liquido seminale, riscontrata nel 15% dei pazienti affetti da infezione COVID-19, può causare alterazioni nella produzione degli spermatozoi e nella funzione endocrina dei testicoli. Può inoltre determinare un’infiammazione su base vascolare che provoca gli stessi sintomi dell’orchite: dolore, vistoso gonfiore del testicolo e arrossamento dello scroto.
E, a lungo termine, può creare le condizioni per un ipogonadismo, con conseguente ridotta produzione di testosterone. A oggi il numero di casi è ancora contenuto (poche decine) solo perché le segnalazioni stanno cominciando a emergere da poche settimane. Richiede invece ancora ampia validazione scientifica l’ipotesi per cui il virus nel liquido seminale potrebbe anche svolgere un ruolo nell’infezione e nella trasmissione della malattia.
Se si è stati contagiati, per riprendere l’attività sessuale è necessario attendere due tamponi negativi consecutivi. Sono le principali conseguenze urologiche che possono insorgere in pazienti maschi colpiti da COVID-19, rese note dalla Società Italiana di Urologia (siu.it), che attualmente sta portando avanti uno studio multicentrico per la valutazione delle alterazioni ormonali e della spermatogenesi nei pazienti affetti da COVID-19. I dati preliminari sembrano confermare un’alterazione ormonale, in particolare con un significativo incremento della concentrazione di prolattina nel sangue durante la malattia, con un impatto anche sul desiderio sessuale, mediato dallo stress della condizione di paziente con Coronavirus. Appena disponibili saranno resi noti i dati definitivi.
“In questa fase preliminare, fatte salve le dovute prudenze scientifiche, la presenza del Coronavirus nel liquido seminale è una delle grandi questioni da affrontare – spiega il prof. Roberto Scarpa, Presidente SIU e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Urologia del Campus Biomedico di Roma –. Alcuni studi farebbero pensare a un possibile coinvolgimento del testicolo nel corso dell’infezione, probabilmente mediato da un’infiammazione locale e/o sistemica che potrebbe consentire a un’alta carica virale di superare la barriera emato-testicolare. A oggi sono ancora poche le indagini condotte e pochi i campioni di pazienti coinvolti, per accertare la presenza del virus nel liquido seminale. Anche i risultati ottenuti fin qui sono contrastanti. I dati attualmente a disposizione non hanno dunque una validità scientifica oggettiva. Tuttavia, come per tutte le conseguenze post-COVID in generale, vanno considerati come una base di partenza in attesa di studi più ampi e attendibili che sono già in corso”.
Due sono i meccanismi per cui il virus può causare un danno ai testicoli: “Anzitutto, nelle cellule testicolari è presente un recettore, chiamato ACE2, che favorisce il legame con il virus, con un possibile effetto a cascata di infiammare l’epididimo e il testicolo – spiega il professor Rocco Damiano, dell’Ufficio Risorse e Comunicazione della SIU, Ordinario di Urologia e Direttore Scuola di Specializzazione di Urologia all’Università Magna Graecia di Catanzaro –. In secondo luogo, le anomalie della coagulazione tipiche dei pazienti affetti da COVID-19 possono scatenare un’infiammazione vascolare. Queste due condizioni determinano un danno a lungo termine nel testicolo, alterando la produzione di testosterone e incidendo sulla formazione degli spermatozoi. Non sembra esserci un effetto diretto del virus Cov-2, ma sempre mediato dall’infiammazione”
Dal punto di vista endocrino, i pazienti affetti da COVID-19 hanno presentato elevati livelli di ormone LH e bassi livelli di testosterone e questo potrebbe corrispondere a una condizione di sofferenza ai testicoli, l’ipogonadismo, causata proprio dall’infezione.
Diventa quindi molto importante monitorare nei pazienti positivi a COVID-19 la funzione testicolare, per individuare eventuali anomalie che possano nel lungo periodo comprometterne la fertilità. Ma la malattia può incidere sul processo riproduttivo anche attraverso prostata. In questa ghiandola c’è infatti un’elevata concentrazione di un recettore chiamato TMPRSS2, che facilita il passaggio del virus nelle cellule ed è sensibile agli ormoni maschili, gli androgeni. Ecco perché è ipotizzabile che il secreto prostatico possa risentirne dal punto di vista del processo riproduttivo.
È escluso, invece, ogni nesso con altre patologie relative alla salute sessuale maschile. Come spiega il professor Walter Artibani, Segretario Generale della SIU, “non c’è alcun meccanismo fisio-patologico che colleghi COVID-19 alla disfunzione erettile, per esempio, che dipende piuttosto da differenti fattori ormonali. Anche se non sono da escludere il ruolo dei ridotti livelli di testosterone sul desiderio e l’impatto di COVID-19 sull’equilibrio psicologico dell’individuo. Per lo stesso motivo, vale a dire l’assenza di una “porta d’ingresso” che agevoli il virus, si possono escludere conseguenze per la vescica. Va aggiunto inoltre che, a differenza delle conseguenze immediate che il virus e la malattia hanno sull’apparato respiratorio e su quello vascolare, le possibili anomalie sul testicolo sono potenzialmente riscontrabili molto più avanti nel tempo”.
Cominciano a essere più chiari i limiti alla ripresa di una normale attività sessuale post-COVID: “Una volta guariti dalla malattia che ha provocato la pandemia mondiale, in mancanza di dati certi sul rischio di contagio, bisogna attendere di essere risultati negativi al tampone di controllo per due volte consecutive”, aggiunge il prof. Damiano. “E tenere conto che, al momento, non esiste alcun report sulla trasmissione del virus da spermatozoi a ovociti, non si segnala nessuna trasmissione sessuale e dunque l’infezione non può oggi essere classificata come sessualmente trasmissibile. Il virus si trasmette però efficacemente attraverso i baci, pratica comunque durante i rapporti sessuali”.
Anche la medicina della riproduzione sarà notevolmente condizionata da COVID-19, per i rischi correlati alla crioconservazione del seme: “Qualora il paziente sia positivo al virus, le modalità di raccolta del liquido seminale per la crioconservazione possono facilitare la contaminazione. Inoltre, la sopravvivenza delle proprietà del virus conservato in azoto liquido pone interrogativi sulla possibile persistenza del focolaio infettivo nel tempo”, conclude il prof. Damiano.