LA GESTIONE DELLA MALATTIA DI PARKINSON IN ITALIA

Il Parkinson è la seconda patologia neurodegenerativa per prevalenza (dopo l’Alzheimer) e, in Italia, colpisce circa 250.000 persone, numero destinato a raddoppiare nei prossimi 15 anni. In un incontro al Senato, “La gestione della malattia di Parkinson in Italia”, i massimi esperti nazionali hanno delineato una strategia per migliorare l’assistenza ai pazienti, promuovendo l’informazione e la ricerca sulla patologia e favorendo l’integrazione tra i diversi snodi del SSN.

Nonostante il Parkinson venga spesso etichettato erroneamente come malattia della terza età, una persona su cinque ha meno di 50 anni al momento della comparsa dei sintomi iniziali. Il campanello d’allarme della malattia sono la fatica nel camminare, i disordini del movimento e la perdita dell’equilibrio, a volte i tremori.

Tutto ciò dà luogo a pesanti ripercussioni sulla qualità di vita di migliaia di famiglie, soprattutto perché non esiste ancora una cura definitiva della malattia, né sono state individuate soddisfacenti strategie preventive. Per il Parkinson, infatti, esistono solo cure sintomatiche, in quanto i farmaci a oggi disponibili agiscono unicamente sui primi segnali della malattia e sui disturbi che essi comportano.
A fronte di questa situazione si rileva anche una certa impreparazione del sistema sanitario nella presa in carico dei pazienti affetti dal morbo: sono infatti pochissimi in Italia i centri di cura specializzati, e solo alcune Regioni hanno definito un apposito Percorso Diagnostico-Terapeutico Assistenziale (PDTA).
“La ricerca neurologica in Italia è di primissimo livello, con strutture d’avanguardia”, spiega Alfredo Berardelli, presidente dell’Accademia Limpe-Dismov e professore ordinario di Neurologia alla Sapienza di Roma. “L’obiettivo degli studi in corso è quello di trovare una terapia che agisca sul meccanismo fisiopatologico che dà luogo alla malattia di Parkinson. Al momento risulta essenziale che la diagnosi venga effettuata da un neurologo, l’unico professionista che può seguire il paziente durante tutte le fasi di progressione della malattia, per consigliare il trattamento più idoneo e garantirgli sempre una buona qualità di vita”.
“Nelle prime fasi della malattia, oggi si riesce a intervenire con farmaci che potenziano la produzione di dopamina da parte del cervello e riescono a migliorare la sintomatologia motoria”, afferma Giovanni Abbruzzese, Ordinario di Medicina Fisica e Riabilitativa, DINOGMI Università degli Studi di Genova. “Nel momento in cui le manifestazioni della patologia diventano più serie, si fa ricorso a terapie complesse, di tipo neurochirurgico, con impianto di stimolatori all’interno del cervello, o di tipo infusionale, con impianto di infusori nell’intestino. Rimedi per lo più sintomatici, che non possono essere usati nella totalità dei pazienti. Un aiuto importante può venire invece dalla riabilitazione, che non deve essere un’alternativa alla terapia farmacologica, ma un’integrazione alla stessa. Una speranza arriva anche dalla ricerca, che sta iniziando a individuare biomarcatori in grado di rilevare la patologia prima dei suoi esordi sintomatici, e sta identificando anche nuove cure, probabilmente capaci di rallentare, o addirittura bloccare definitivamente la progressione della malattia”.

Il professor Americo Cicchetti, Direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Altems), ha illustrato i risultati di uno studio, condotto dall’Altems per quantificare la spesa che SSN, malati di Parkinson e famiglie e Società sostengono per la malattia: “Sia per quanto concerne le spese del SSN sia per quelle dei malati, le cifre sono più alte nelle Regioni del Centro, rispetto a quelle del Nord e del Sud. Il costo annuale per paziente affetto da malattia di Parkinson varia fra 3.500 e 4.800 euro per il SSN, fra 1.500 e 2.700 euro per i malati e fra 10.000 e 17.000 euro per la Società. Riportando questi dati al numero di persone con malattia di Parkinson presenti in Italia, è stato calcolato che il carico totale per il SSN, relativo a questa patologia, sia compreso fra 1.1 e 1.3 miliardi di euro e quello per la Società fra 2.2 e 2.9 miliardi di euro. Sebbene le risorse messe in campo dal SSN per questa malattia siano considerevoli, esiste ancora un ampio margine di manovra per l’ottimizzazione, che potrebbe passare anzitutto per la chiara definizione di PDTA che migliorino la continuità dell’assistenza e garantiscano una migliore gestione del paziente”.

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