Epatite C, il 2016 si prepara ad essere l’anno della svolta

 

A circa 25 anni dalla scoperta del virus HCV, e dopo la rivoluzionaria introduzione dei primi antivirali ad azione diretta (DAAS), le prospettive terapeutiche continuano a essere sempre più incoraggianti: con i farmaci di nuova generazione, l’obiettivo eradicazione diventa possibile.

L’epatite C in tutto il mondo colpisce 160 milioni di persone, di cui 1,5 milioni in Italia, ovvero il 2% della popolazione.
L’Italia e’ al primo posto in Europa anche per la prevalenza delle malattie epatiche e l’epatite C che, da sola o associata ad altri fattori, è la prima causa di cirrosi epatica e tumore al fegato.
«L’OMS ha calcolato che ogni anno si registrano 3-4 milioni di nuovi casi di epatite C nel mondo – dichiara Antonio Craxì, Professore ordinario di Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Palermo – Tali dati potrebbero rappresentare una sottostima del reale quadro epidemiologico globale».
«E circa un quarto dei pazienti con infezione da virus HIV – aggiunge inoltre Gloria Taliani, Professore ordinario di Malattie Infettive della Sapienza Università di Roma – si stima sia anche infetto da virus dell’epatite C. Sarebbero dunque quasi 7 milioni i pazienti co-infetti».
Nell’arco di 25 anni lo scenario è però cambiato e oggi si parla con maggiore concretezza di una possibile eradicazione del virus.
Per oltre un decennio, l’unica terapia disponibile per l’epatite C era basata su interferone e ribavirina a cui, nel 2011 si sono aggiunti gli inibitori della proteasi di I generazione (boceprevir e telaprevir). Dal 2014 l’avvento dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs) ha innescato una vera e propria “rivoluzione” nella cura di questa patologia.
«La disponibilità dei nuovi regimi orali anti-HCV – precisa Massimo Colombo, Professore ordinario di Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Milano – ha triplicato l’accesso alle cure dei pazienti ultrasettantenni e con cirrosi, raggiungendo alcune categorie, come i pazienti con severa insufficienza epatica, scompensati e con trapianto d’organo, in precedenza controindicate ai trattamenti a base di interferone».
Riguardo agli scenari futuri, Walter Ricciardi, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, spiega: «Oggi i grandi progressi della terapia anti-HCV, con lo sviluppo di regimi basati su combinazioni di farmaci ad azione diretta, somministrabili esclusivamente per via orale, che non necessitano di interferone e spesso anche di ribavirina, sicuri e ben tollerati, efficaci anche nei pazienti “difficili” con cirrosi, in grado di “eradicare” il virus nel 90-100% dei casi in tempi brevi (8-12 settimane), non soltanto sono risolutivi e in grado di cambiare la storia naturale della malattia di tanti pazienti ma, in prospettiva, potrebbero modificare l’epidemiologia globale di questa infezione».
Nel 2016 è prevista l’introduzione di nuovi regimi terapeutici ancora più semplici, di minore durata, in grado di ottenere una risposta virologica sostenuta in appena 12 settimane di trattamento anche su pazienti difficili da trattare con gran parte delle opzioni terapeutiche disponibili, come quelli con cirrosi, co-infezione HIV-HCV, insufficienza renale avanzata e precedenti fallimenti terapeutici.
Come spiega Carlo Federico Perno, Professore di Virologia all’Università di Tor Vergata di Roma “L’obiettivo futuro è quello di poter disporre di farmaci anti-HCV sempre migliori dal punto di vista del profilo di tollerabilità, efficacia e sicurezza, con scarse interazioni farmacologiche, in grado di poter trattare i pazienti complessi ottenendo alti tassi di guarigione. Questo obiettivo sembra raggiungibile nel prossimo futuro con la nuova ondata di farmaci in arrivo e con un approccio meno schematico ai bisogni di ciascun paziente».
«In questo scenario – prosegue Savino Bruno, Professore straordinario di Medicina Interna della Humanitas University of Medicine, Rozzano (Milano) – con l’evoluzione delle terapie il virus potrà essere eradicato e la trasmissione potrà essere controllata, ma il progresso clinico dovrà essere sostenuto da un adeguamento delle infrastrutture di sanità pubblica, sufficienti fondi a disposizione e pieno sostegno politico-sociale».

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